martedì 6 settembre 2016

Il nostro “campo” quotidiano

di Filomena Baratto 

Vico Equense - Da un po’ di tempo i nostri cellulari risultano lenti: inviano messaggi quando si ricordano e noi ci disperiamo fino a quando non vediamo la spunta azzurra. Poi, quando siamo già in ansia da un pezzo, ecco che arriva il messaggio facendoci credere che sia nuovo. Malgrado questi inconvenienti, stanno ampliando ulteriormente la rete con massicci ripetitori in punti strategici che sono poi anche luoghi di grande impatto paesaggistico. Al punto in cui siamo, nessuno, credo nessuno, includendo anche i bambini, sarebbe d’accordo nel perdere questo meraviglioso mondo che ci portiamo a passeggio nelle mani per tutta la giornata: il telefonino. A tavola, in compagnia, al ristorante, in chiesa, non fa differenza, usiamo il telefonino come una normale scatoletta tuttofare. Ecco che tra un piatto e l’altro sbirciamo le notifiche, ci destiamo al trillo del messaggio, aspettiamo la lucina di turno, controlliamo le risposte. Per non parlare di chi ne ha due dividendoli per interessi: il lavoro e la famiglia, per l’ufficio e per gli amici, o semplicemente per averne due, non si può mai sapere. Questo vale per tutti, compresi i bambini. I piccoli osservano e mentre diciamo loro che il telefonino non va portato qui o lì, padre, madre, sorelle e nonni stanno chattando tra un boccone e l’altro, stanno scrivendo mentre si officia la messa, stanno messaggiando per un fatto importante o non resistono a rispondere in tempo reale a tutti.
 
Guardare le nostre teste abbassate durante la giornata è diventato uno sport, o più giusto dire un impedimento visto che, stando tante ore in un’unica posizione, avremmo bisogno di un’ attività alternativa per guarire dalla nostra cervicale. Allo stato in cui siamo arrivati, siamo gli artefici di un ottimo funzionamento del nostro mondo virtuale e di uno pessimo, quello reale. Dobbiamo aggiornare il blog, il sito, la pagina fb, scrivere mail, contattare per lavoro e tutto questo attraverso la telefonia mobile che è diventata una rete carica da non credere. Sarà che tutti oggi usufruiscono di questa tecnologia che l’eccessiva affluenza ci lascia a volte anche a piedi. Mi è capitato di ricevere messaggi in ritardo senza capirne il senso e, solo dopo aver letto l’orario di emissione, mi sono resa conto del ritardo dovuto alla telefonia, creando equivoci spiacevoli. Ci sono momenti in cui il telefono serve con un’urgenza impellente ed è proprio quando non c’è linea e allora cominci a camminare per la stanza, a uscire fuori, a trovare un lembo di cielo verso cui fare affidamento con la speranza di prendere il campo. Siamo diventati telefonia dipendenti, senza ci sentiremmo come naufraghi, senza quell’aggeggio che gira tra le nostre mani e anche quando non aspettiamo alcun messaggio, accendere il display per controllare è più forte di noi. E non importa se suona mentre due si stanno baciando, o stanno litigando o stanno in un luogo impossibilitati a capire per il chiasso intorno, il telefono regna nella nostra vita sovrano. Riesce a interrompere i momenti più romantici o quelli più disperati o allegri, la priorità è del telefonino. Riusciamo a rispondere, a chattare, a mandare un messaggio, a scrivere facendo anche altre cose. Ne perde la nostra vita reale, quella che si vive senza telefonino e così siamo contattati anche su un pizzo di montagna mentre ammiriamo un panorama. La telefonia mobile corre ai ripari per dare a tutti noi il nostro “campo” quotidiano per poter effettuare tutte le chiamate e tutte le operazioni che andiamo lamentando da un po’ di tempo. Fioccano le antenne, si uniscono le compagnie, aumentano i ripetitori di segnali facendoci dimenticare che siamo attanagliati da energia che si avvinghia a noi e ci debilita. Questo progresso che a noi sembra un qualcosa di eccezionale non fa altro che sprofondarci in un baratro per gli effetti dell’elettromagnetismo. E mentre chiediamo alle compagnie di migliorare i segnali, poi le combattiamo per metterci i ripetitori e ammazzarci con l’elettromagnetismo. Ma le compagnie non fanno altro che il loro lavoro, quello di fornirci un servizio nel miglior modo possibile, che, se non erogano secondo le nostre aspettative, cambiamo gestore. Non è la telefonia mobile che non progredisce, è la nostra nuova educazione tecnologica che ci vuole consumatori a tutte le ore per ogni situazione, dalla più stupida alla più importante. E allora chiediamo che si aggiornino sul fornirci un servizio innocuo visto che l’utenza paga un canone. Anche questo è giusto, ma il rinnovo della rete e il suo ampliamento deve correre dietro a una diffusione capillare del telefonia di gran lunga maggiore alle aspettative e di quello che si può fare in tal senso. Il progresso corre più di noi e quello che oggi sembra un aggeggio di ultima generazione, tra due giorni sarà scalzato da un altro con nuove opzioni che tutti ambiscono avere credendo di avere possibilità di interazione maggiori. Siamo schiavi della tecnologia che ha cambiato non solo le nostre abitudini ma anche le attese della vita. L’elettromagnetismo non è dato solo dalle antenne e dai ripetitori, nelle nostre case ne siamo pieni. Campi magnetici di più bassa frequenza ma continui che alimentano e surriscaldano l’ambiente e noi non li avvertiamo. I nostri elettrodomestici, compreso il computer, hanno gli stessi effetti, ma a noi sembra di gran lunga peggiore il ripetitore per una maggiore frequenza erogata. L’elettromagnetismo fa parte del nostro quotidiano e se anche non si mettessero più antenne, resterebbero comunque i danni di quello che già assorbiamo. Non è un ripetitore che cambia la vita, ma tutte quelle tecnologie che già fanno parte della nostra vita e che abbiamo accettato in nome del progresso. E’ come voler spegnere l’elettricità dopo aver visto una città illuminata a giorno: sarebbe come la fine del mondo. Abbiamo indotto un processo di non ritorno. L’unico modo sarebbe di fermarci e mettere in discussione il tutto, cosa alquanto utopistica.

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