di Filomena Baratto
Vico Equense - Abitare è muoversi e sentirsi a proprio agio dentro le pareti di una casa, di un rione, di un quartiere, di una città. La casa da sempre è il luogo preposto a raccoglierci e proteggerci. In città case ricche di verde, palazzi antichi, condomini eleganti, attici con vista strepitosa. E nelle periferie? Casermoni senza regole né estetica, senza colore, spesso grezze, con finestre che ricordano la forma delle prigioni, anonime, senza volto, dove viverci è come confondersi. Quale essere umano può vivere in una scatola del genere, dove il sole si dimentica di passarci, l’ombra è la parte più lunga del giorno, dove l’entusiasmo di vita stenta a decollare. Chi sono gli architetti che progettano e le amministrazioni che deliberano scatole su scatole dove impacchettare la gente e renderla triste. Una casa è come l’anima. La devi rendere a tua immagine e somiglianza. Dentro ci sono gli angoli dove rannicchiarsi, la finestra da cui affacciarsi per vedere un contorno di monte, un arcobaleno dopo la pioggia, un treno lontano che sfreccia, una nuvola che nasconde il sole. Quale elemento naturale si potrà vedere da una finestra di un palazzone, in un rione immenso, cresciuto in verticale se affacciandoti entri direttamente nella stanza della vicina a violare la sua privacy. Relegati in quattro mura umide, rivolte a nord, col muschio sulle pareti esterne, in un silenzio funesto, dove gli unici colori sono dati dai murales. Le periferie sono costruite per creare confini. Vuoi mettere il vasetto con le margherite sul davanzale in un palazzone al confronto con un giardino curato? Le case pubbliche sono costruite per assicurare un tetto a tutti. E’ già tanto avere una casa, figuriamoci se ci si metta a fare storie per l’esposizione, l’altezza, l’ingresso funereo.
Le case, quali esse siano, devono avere tutti i crismi per far sentire l’essere umano a suo agio. In queste caserme periferiche se stai male nessuno potrà sentirti, nessuno busserà alla tua porta e se poi capita qualche situazione incresciosa, si dirà che era tutto normale, niente lasciava presagire il peggio, nessuno ha visto né sentito. E se una bambina cade giù, vittima di un bruto che l’ha violentata o se un marito non ha di meglio da fare che tirare qualche bossolo giusto per fare tiro a segno con la moglie o un ragazzo si droga indisturbato nei garage o nell’androne di un palazzone, è tutto normale. Qui la noia è di casa. Sembra quasi che siano state costruite per fare accadere tutto questo! Abitare è sentire lo spazio vitale intorno, lasciarsi proteggere, dove i muri non sono prigioni ma confini del cuore, pareti flessuose, tetti come cappelli, finestre come occhi per ammirare la natura e respirare, ingressi come quando la nostra bocca parla e si spiega. Inscatolare è dare un tetto alla gente, ma non condizioni umane idonee a vivere. Gli ingegneri per accaparrarsi gli appalti presentano progetti avveniristici e una volta approvati, escludono porte e terrazzi, risparmiano sul verde, sul cemento, sui colori. L’edilizia popolare dovrebbe creare case confortevoli e sicure più di quelle private. La casa è un bene non escludibile e tutti i cittadini devono potervi accedere indipendentemente dalle loro possibilità economiche. Per la costruzione di una casa si calcola in primis il valore del suolo. Questo non dipende dai suoi caratteri naturali, che pure hanno la loro importanza, ma dall’accesso ai servizi e loro qualità; trasporti pubblici efficienti, sicurezza e immagine del luogo, qualità architettonica, vicinanza a parchi, al mare, ai laghi, ai fiumi. Nel costo della casa entrano in gioco il valore del suolo, del manufatto edilizio, della posizione. Fattori che vengono abbattuti nelle costruzioni cosiddette a “treno”, in quanto c’è abbondanza di terreno edificabile ma fuori mano, non hanno alcuna vicinanza a bellezze naturali o a centri di interesse, e infine il manufatto non è né esteticamente valido né architettonicamente armonico. Unico parametro preso in considerazione è quello della capienza: deve contenere un gran numero di persone. La qualità di vita di un’abitazione è data dalle condizioni abitative, come l’esposizione, l’acqua potabile, i servizi igienici, la vista, la luminosità, il numero di abitanti per vano, la privacy della casa, l’accesso ai servizi primari, al trasporto pubblico, a spazi verdi, lo stato di viabilità, traffico e sua congestione, inquinamento atmosferico, condizioni del vicinato, barriere architettoniche. Quando tutto questo manca si producono situazioni emarginali contribuendo a creare quartieri disagiati. L’immagine di una città è data dagli stereotipi di quella città che vanno dalla qualità ambientale, al successo economico, alla composizione sociale, alla vivacità culturale. Secondo l’urbanista Piero Pierotti, il concetto di città rimanda all’idea di spazio materno, protetto, chiuso, delimitato, per un gruppo socialmente fuso. Ora se in questo spazio c’è sofferenza, ne risponde tutto il gruppo. Concentrare tutte le forze nei centri e spogliare le periferie o renderle tristi e non a misura d’uomo è come indurre lo spazio materno in gestosi. Abitare è vivere bene nel luogo in cui si ha dimora e non avvertire le distanze che passano tra il centro e la periferia. E’ avere cura dei luoghi, renderli vivibili, conoscerne i limiti e sviluppare progetti che li superino nel rispetto dell’ambiente e delle persone.
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