mercoledì 19 agosto 2020

La fiaba turca

di Filomena Baratto

Quest’estate mi sono appassionata ad alcune serie tv italiane. Ho cercato di coinvolgere mia figlia esortandola a guardarne una con me, ma lei continuava a troneggiare al centro del divano a tre posti con la sua serie del cuore sul computer: DayDreamer- Le ali del sogno. L’ho vista ogni pomeriggio a sganasciarsi dalle risate, dimentica di quello che le accadeva intorno. Poi ha cominciato a coinvolgermi facendomi guardare qualche scena che ovviamente non mi diceva niente, dal momento che non ero al corrente della storia. E mi chiedevo cosa ci trovasse di tanto divertente. Così siamo arrivate a un compromesso: avrei visto la sua serie se lei avesse visto la mia. Mi sono arresa: ho cominciato a seguire DayDreamer- Le ali del sogno. Come quando si legge un libro, la prima puntata è stato un incipit convincente. Storia, fotografia, musiche fatte di ritmi mediorientali che tanto mi piacciono, protagonisti, tutto era perfetto. E’ stato un crescendo. Mi sentivo come l’unica persona al mondo a non conoscere DayDreamer. Per chi come me si avventura nella scrittura, notavo che aveva tutti gli ingredienti per farti andare avanti nella storia. Non vedevo qualcosa del genere dai tempi delle serie degli anni ‘80. Erano anni che non mi appassionavo così. Ci sono punti fermi su cui siamo tutti d’accordo. Innanzitutto i personaggi principali: Can e Sanem, non solo belli ma anche convincenti, che riescono a tenere inchiodati i telespettatori allo schermo.

La storia è ambientata a Istanbul e questo mi ha riportato all’atmosfera de Le mille e una notte, con il mare, lo stretto, il ponte, i minareti. Mancava solo un tappeto volante, i ladroni, le lampade, il visir, la principessa. Vedevo sullo schermo una storia moderna uscita dalle pagine di un testo che ho sempre amato: Le mille e una notte. E quella principessa che si sacrifica tutte le notti per non essere ammazzata dall’annoiato principe che, tradito la prima volta, non crede più nell’amore, ritorna qui. Sanem, la protagonista, per uscire da un fidanzamento combinato cerca un lavoro e grazie alla sorella lo ottiene in un’agenzia pubblicitaria. Lei ha un sogno: diventare scrittrice e vivere alle Galapagos. Già nella prima puntata conosce il suo principe, che per sbaglio la bacia nel palchetto di un teatro e resta folgorato dal suo profumo, così da non dimenticarla più. Cenerentola perde la scarpa, Sanem disperde la sua fragranza. E’ una storia attuale che si svolge per la maggior parte sul luogo di lavoro, un’agenzia pubblicitaria e per il resto in un quartiere popolare dove la vita di tutti i giorni scorre tra pettegolezzi e difficoltà. Interessanti i dialoghi ben curati e per mai banali, con una cultura un po’ distante dalla nostra, quella turca, ma allo stesso tempo affascinante, con personaggi solari e che si danno molto da fare come Cey Cey, Deren, Mavkibet, la stessa protagonista vulcanica ed effervescente Sanem e Can che manda in delirio tutti. Non per niente il sottotitolo è Le ali del sogno ma a me piace tanto quel Erkenci kus, titolo originale, L’uccello mattiniero, che ha in sé tutta la freschezza della protagonista che insegue il suo sogno. E poi una storia con tutti i crismi della fiaba moderna con protagonisti e antagonisti, trama ben costruita, elementi di aiuto magici con tutte le funzioni di cui parlava Vladimir Propp quando formulava lo schema della fiaba. E cosa meglio di una fiaba può far stare bene, tranquillizzare, insegnare? Si sperimenta il valore dell’amicizia, le ansie dei genitori, le tempeste dell’amore, la gelosia, l’invidia, la cattiveria, l’aiuto delle persone care. Il punto forte della storia è l’aderenza alla realtà. Can Divit, fotografo e poi capo dell’agenzia e Sanem Aydin, i protagonisti della serie, non sono altro che il principe e la principessa il cui amore viene costantemente ostacolato tra equivoci, paure, ansie, malintesi, invidie. E’ la fiaba di una volta, che avevamo dimenticato. In essa la descrizione di un mondo moderno con tanto di tradizione, tra ilarità e serietà, novità e colpi di scena. Tutto raccontato con tensione, ironia, effervescenza. E si capisce allora il successo della serie, fatto di una storia semplice con un protagonista che oppone alla forza fisica una gentilezza d’animo. Mai arrogante, sempre attento, con l’unico difetto di essere allergico alle bugie e geloso come un bue spagnolo. Be’ chi non vorrebbe un uomo così? Sembra quasi in antitesi con gli stessi suoi muscoli, fatti di tartarughe e torace da superman. Di solito scarica in palestra i suoi momenti di tensione, trova sempre la calma per ogni cosa, affettuoso e passionale senza mai sconfinare. L’educazione, la pazienza, sono per lui valori importanti. Ebbene, il successo di Erkenci kus è questo. Ovviamente ci sono i momenti in cui non ce la fai più a seguire per la storia che ricade in trappole per mantenere l’incantesimo, proprio come faceva Sharazade, che raccontava al principe le sue storie senza fermarsi mai per non permettergli di ucciderla. E allora si allungano i tempi per le risoluzioni, allentano le situazioni, si mantiene la tensione, si sdrammatizza quando i fatti diventano troppo seri. E poi quell’atteso ricongiungimento dei due che mai avviene. Adesso mia figlia non si raggomitola più sul divano con le cuffie, ma guarda con me senza spoilerare, visto che conosce tutti gli episodi, ridendo e scherzando. Solo alla 40esima puntata si è presentata con dei fazzoletti che mi ha messo accanto dicendo che ne avrei avuto bisogno. E così è stato.

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