martedì 30 giugno 2015

Una supplenza annunciata

Fonte: Enzo d'Errico da Il Corriere del Mezzogiorno

Alla fine sarà la magistratura a decidere chi, come e quando governerà la Campania. Quella stessa magistratura che, spesso, è stata accusata di condizionare la politica con le sue sentenze. Un bei paradosso, non c'è che dire. Ma è la degna conclusione del caso De Luca, una sequenza di errori e opportunismi che non ha precedenti nella recente storia amministrativa del nostro Paese. Basta mettere in fila avvenimenti e protagonisti di questa trama per accorgersi come il destino della terza regione d'Italia sia stato giocato ai dadi in nome di convenienze personali e mai di interessi collettivi. Ne serve addurre l'alibi di una legge, la Severino, che neppure uno studente al primo anno di giurisprudenza avrebbe formulato peggio: l'unico dato ormai inoppugnabile è l'assenza di responsabilità istituzionale e civile di un'intera classe dirigente cresciuta all'ombra del Pd locale. Non c'è dubbio, come ha sottolineato Paolo Macry nell'editoriale di domenica, che in questa storia Renzi abbia mostrato il suo volto peggiore, segnato da ambiguità e piccoli espedienti. Ed è altresì evidente che la sovrapposizione dei ruoli — premier e segretario del partito — abbia alimentato la confusione e impedito scelte inequivocabili. Ciò non toglie, però, che fosse compito del Pd campano scongiurare l'avvio di un copione la cui fine era nota sin dall'inizio.
 
I tentativi compiuti per arginare la candidatura di De Luca alle primarie sono stati maldestri, al limite del dilettantismo, roba che un politico di lungo corso qual è l'ex sindaco di Salemo ha potuto fronteggiare, e addirittura sbeffeggiare, senza alcun problema. Si è puntato prima su Andrea Cozzolino sperando che il suo bagaglio di voti gli permettesse di vincere la sfida; poi è stata bruciata la candidatura unitaria di Gennaro Migliore, scaraventata sulla strada (e, dunque, immediatamente travolta) quando la macchina delle primarie correva già veloce; infine si è rimasti inermi di fronte alla rovinosa discesa agli inferi di un'ingovernabilità annunciata, spingendosi addirittura a suonare le fanfare per una vittoria elettorale che, di giorno in giorno, si va trasformando in una bruciante sconfitta politica, oltre che d'immagine. Ebbene, al cospetto di una simile catastrofe istituzionale, qualunque dirigente di partito degno di tal nome avrebbe rassegnato le dimissioni o sarebbe stato messo alla porta. Non è accaduto. Ne probabilmente accadrà. L'ignavia di una politica ridotta a mero carrierismo sarà compensata ancora una volta dall'intervento della magistratura. A danno di una democrazia che ormai nel Mezzogiorno ha l'evanescenza di un fantasma.

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