lunedì 8 febbraio 2016

Le carrozzelle di Asturi

di Filomena Baratto

Vico Equense - L’Asturi che più mi piace è quello delle carrozzelle, il maestro ne ha dipinte tante e diverse e sono di piacevole colpo per l’occhio che le ammira. Sono sempre stata attratta da queste carrozzelle e non ho mai visto altre se non le sue. Le avevo a portata di mani, sbucavano fuori da ogni foglio o fotografia, un po’ dappertutto nel suo territorio, qui, città del maestro. Sono dipinti diversi per forme, colori, tecniche e prospettive, con al centro la carrozza, il cocchiere e il cavallo. Per un periodo le ho riprese a matita e, se mia madre non avesse avuto l’abitudine di fare dei miei disegni dei regali, ora starei qui forse ad ammirarle, felice di averle. Ho deciso di ridisegnare le carrozzelle di Asturi, mi danno un senso completo di essere e non ne capivo il motivo, fino a quando ho approfondito questa mia sensazione o emozione come vogliamo interpretarla. Sono legata alle carrozzelle per quello che mi hanno insegnato e per quello che hanno rappresentato nel momento in cui le ho scoperte. A volte le nostre testardaggini sono capaci di farci scoprire cose che nemmeno immaginavamo. D’alta parte che sarà mai una carrozzella? Un mezzo di trasporto del secolo scorso, fino al primo prototipo d’auto che ne ha preso il posto, restando un mezzo suggestivo, d’epoca, ma anche qualcosa che va la di là del concetto di mezzo di trasporto e che cercherò di definire qui. Le carrozzelle del maestro hanno un movimento innato, al di là del fatto che stiano ferme o in movimento. Si presentano sempre diverse e, anche quando possono sembrare uguali, hanno differenze espressive, tecniche varie, colori e grandezze diverse.
 
Le ho amate sin dalla prima volta che le ho viste, con quel tratto veloce a cui il mio occhio costruiva il resto col giusto movimento. Sono figure che lasciano spazio alla fantasia, si muovono, le ruote avanzano, il cocchiere parla, il cavallo esegue e non ci si stanca mai di costruirci su. A guardarle non sai se sei colpita più dal cavallo o dal cocchiere, dal tettuccio colorato o dalle ruote precise o forse ancora dalla strada, dal colore, dalla posizione. La verità è che la carrozzella di Asturi, rivela un’unità di concetto nella sua diversità, che si coniuga più sovente con la concezione di vita del pittore nelle varie età, lo accompagna fino alla fine, dando, di volta in volta, il relativo sentire. Nella vita di un pittore c’è sempre un elemento caro, un oggetto ricorrente, un colore, un richiamo. E così in Asturi la carrozzella fa da passaggio della sua vita, uno step by step attraverso cui il maestro dipinge il suo pensiero, il suo andare oltre la tela. Mi sono servita del pensiero di Georges Gurdjieff, il filosofo, scrittore mistico armeno, (1872-1949) per dare alle carrozzelle di Asturi un valore aggiunto. Nel sistema filosofico di Gradjieff la carrozza è al metafora del corpo umano e pertanto il fatto di averne dipinte diverse, dà al maestro un’umanità raccolta su quella tela come un diario della sua vita, quasi a parlarci del suo rapporto col prossimo, a definire la posizione dell’uomo in questo mondo e in modo specifico del suo rapporto con se stesso. Allo stesso tempo Gurdjieff dà al cocchiere il valore di colui che decide, per essere l’unico a poter scegliere il percorso e dove dirigersi. A volte nelle carrozzelle di Asturi si notano colori tenui e sfumati, con tratti rapidi e ricchi di tono, quasi a sottolineare l’approssimarsi della partenza o il percorso da intraprendere e quindi di decisioni prese. Altre volte al colore si sostituisce un tono intenso più scuro o più chiaro come se cocchiere e carrozza fossero tutt’uno, in un movimento completo di partenza e arrivo, per dire che una corsa è stata intrapresa, completata. Oltre alla carrozza e al cocchiere, grande valore spetta ai cavalli che, sempre secondo Gurdjieff, segnano le emozioni, non meno importanti della decisione del cocchiere e del corpo. Le emozioni sono il timone della vita, la bellezza delle cose che traspare dalle idee, dai pensieri. Nella “Carrozzella” fatta a tratti scuri, in un unico colore, che di primo acchito può sembrare smorto, il tutto è reso importante dal cavallo in primo piano. In questo dipinto si notano tratti più precisi, contorni armonici, una freschezza data dal chiaroscuro intenso, un cavallo in posizione, elegante, le cui redini sono tese, segno di lasciarsi guidare dalle emozioni e che conosce il percorso. Lo vediamo dal cocchiere deciso, per niente arcuato dal peso della vita, ma dritto con la schiena, in procinto di scoccare un piccolo colpo come a non voler perdere quello sprazzo di tensione, di emozioni regalate dal cavallo, dove il tutto è definito da una decisione presa, da un portamento dritto e da un coordinamento generale. E non c’è bisogno di colore in tanta freschezza d’azione, la cui bellezza è nell’idea di quello che accade, già in corsa d’opera, tutto è così ben armonico e teso che il colore avrebbe inficiato un pensiero fin troppo chiaro. Altre volte, come nel dipinto “Vetturino su carrozzella a cavallo”, il corpo si fa ben più ingombrante, del cocchiere quasi non si vede la testa, mentre del cavallo emerge solo la parte finale. Vi è in questo dipinto una considerazione più attenta del corpo, meno nella mente che decide e poche emozioni o comunque emozioni non nuove. Il pittore diventa tutt’uno con se stesso e non necessita di parole, bastano i tratti a dare le parole ai pensieri. In “Pianino dal vero” la carrozza è imponente, quasi pesante per il cavallo che invece si ferma a brucare qualcosa, che ha più l’idea del cercare, del distrarsi, fermarsi come se le emozioni avessero avuto un arresto per un corpo che chiede di essere portato ma senza alcuno che decida per lui, senza sapere dove. Le emozioni sono forse indisciplinate, per la mancanza di un cocchiere che le guidi, che segni un corso. Un momento, forse, liberatorio, di riflessione, di carica. Ancora, in un altro, la carrozzella è vista da dietro, grande e scura, il cocchiere ben posizionato e alla guida, mentre il cavallo sfugge e resta per un brevissimo tratto solo la vista della criniera. Sembra un’età di mezzo, dove c’è la guida al corpo ma sfuggono le emozioni, difatti il cavallo è poca cosa. Le carrozzelle di Asturi sono un discorso filosofico corrente dove il pittore esprime se stesso più di ogni altro soggetto. Parla del peso della vita, lo vediamo dalle spalle arcuate del cocchiere, dalla forza della sua immaginazione con quella frusta ben eretta in posizione per scoccare, dalla fervida creatività con quei tocchi di rosso alle ruote, segno di giovinezza dell’animo, di forza delle idee e magari di grande energia interiore, a volte di purificazione attraverso la pioggia mentre altre volte la carrozzella fa a meno del cocchiere per dire che il corpo e le emozioni sono senza guida. Da sempre sono stata attratta dalle carrozzelle di Asturi, mi perdo tra le ruote o la frusta, il cappello o il cavallo, i colori, la proiezione da cui è ripresa. La carrozzella ci insegna a sentire il corpo guidato dalle emozioni e che mente ed emozioni seguono la loro strada. L’arte ci insegna attraverso le forme e il colore, il pensiero, quello di un maestro che non finisce mai di stupirci ,e che la pittura non è solo colore sulla tela, ma poesia pura inzuppata con un pennello nell’animo e stemperata su una stoffa. L’arte è sempre qualcosa di vivo, che si rinnova in ogni animo che la interpreta ed è sempre nuova, senza soluzione di continuità.

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