venerdì 29 aprile 2011

I partiti prima delle elezioni

Fonte: di Aldo Trione da il Corriere del Mezzogiorno

Le lucide riflessioni di Emanuele Macaluso, che, in una intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorno qualche settimana fa, sottolineando la complessità la crisi del nostro sistema istituzionale, ha definito il Pd partito «senza cultura politica» e privo di «identità meridionalista», possono utilmente consentirci di svolgere alcune considerazioni su quanto sta avvenendo a Napoli in questi giorni. Elezioni amministrative. Liste con migliaia di candidati. Nessuna figura di rilievo. Qualche polemica aspra, talvolta ingenerosa. Poche idee. I capilista, che dovrebbero cercare un confronto a tutto campo con gli elettori e illustrare i propri programmi, preferiscono i toni bassi, e, in molti casi, addirittura il silenzio. Parlano, in vero, per loro, alcuni personaggi influenti, che, di fatto, controllano, orientano, promettono, rispolverano metodi e comportamenti di un passato che si credeva sepolto.



La città, ancorché sommersa da tonnellate di rifiuti, appare poco interessata a questa soporifera campagna elettorale, nella quale emerge con assoluta evidenza che les jeux sont faits. Il cosiddetto terzo polo, presenta un candidato serio come Pasquino, ma stenta ad acclimatarsi nella magmatica realtà napoletana; il Pdl, ad onta delle undici liste che sostengono Lettieri, sembra da qualche giorno in fibrillazione. Molti mal digeriscono la «guida strategica» di Velardi, e non mostrano particolare entusiasmo per le adesioni di alcuni vecchi militanti della sinistra, illuminati sulla via «etica, produttiva e progettuale» del berlusconismo napoletano. Il centrosinistra, infine, dimidiato tra il giustizialismo enfatico di de Magistris e un Pd allo stremo, che non riesce a riprendersi dopo gli ultimi impareggiabili momenti del suo lungo cupio dissolvi, e mostra la propria fragilità e inconsistenza politica. Siamo di fronte a una situazione confusa, segnata, tra l’altro, da trasformismi di basso profilo, da opportunismi mal celati, da risentimenti che riportano alla memoria certe pagine amare e inquietanti scritte da Giustino Fortunato o da Salvemini nei primi decenni del secolo scorso. In questo caos calmo i gruppi imprenditoriali più seri e responsabili, le associazioni professionali, i ceti intellettuali più avvertiti fanno sentire poco la loro voce; mostrano disagio e sfiducia nei confronti di un’intera classe politica, responsabile dello sfacelo sociale e antropologico che solo pochi anni fa sarebbe stato inimmaginabile. Che fare? È difficile dare una risposta a questa domanda. Intanto, va rilevato che, finora, non c’è stata alcuna credibile mobilitazione, e tutto va stemperandosi in vaghi richiami alla rinascita, al Mezzogiorno, alla discontinuità. Eppure, di fronte alla realtà declinante di Napoli, i partiti potrebbero tentare un atto di coraggio. Mettere tra parentesi le loro miserie e i loro interessi particolari e ritornare alla politica. Quella grande, quella delle idee, del progetto, della speranza. Ma per ritornare alla politica non sono sufficienti le analisi «in vitro» dei sociologi e neppure le utopie delle anime belle. Sarebbero, forse, necessari (ovviamente da rifondare su nuovi registri) i partiti. I quali, dopo Tangentopoli, sono stati distrutti. Ricostruirli, allora? Cominciando dal Sud, da Napoli? Ma — è evidente — è, questa, solo una pia illusione.

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