di Enrico Morando da qdrmagazine.it
Ma quale rinvio? Ma quale confusione? All'Assemblea nazionale del PD si è combattuta una battaglia politica molto dura. Sull'essenza delle due diverse idee di partito che si confrontano da sempre. Da una parte, quelli che hanno voluto il PD per dotare finalmente il paese di quel grande partito riformista a vocazione maggioritaria che l'Italia non ha mai avuto. Dall'altra, quelli che il Lingotto l'hanno subito-piegati giunco…-, ma hanno approfittato di ogni occasione per rilanciare la politica di sempre: la sinistra fa la sinistra, conquista i "suoi", e poi il governo lo fa con il centro, sulla base della eternamente perdente divisione del lavoro.
Punto di applicazione del conflitto: l'articolo tre dello statuto, quello che testualmente recita: "il segretario del PD è proposto per la candidatura a Presidente del Consiglio". Perché proprio su questo punto? Ovvio: questa regola può rimanere com'è e dov'è, tra i primi articoli dello statuto, quelli che hanno valore di principio, come i primi articoli della Costituzione-solo se il PD si concepisce come partito a vocazione maggioritaria.
Si capisce dunque bene perché, da mesi e mesi, l'ex segretario Bersani e l'ex vicesegretario Letta lavorano non per "fare un po' di manutenzione" a questa norma (ad esempio, rendendola compatibile con la deroga introdotta all'articolo 18 dello statuto, per rendere possibile la candidatura di Renzi alle primarie), ma per cancellarla. Sì, cancellarla, puramente e semplicemente. Per ottenere che cosa? In primo luogo, sancire - non nel congresso, ma prima del congresso - il tramonto definitivo dell'idea del PD come partito a vocazione maggioritaria. E farlo subito, prima che Renzi, vincendo il congresso, renda impossibile questa restaurazione. In secondo luogo, per sgonfiare le vele a Renzi: ha voluto candidarsi a segretario del PD, quando tutti o quasi i "potenti" del PD gli consigliavano di lasciar perdere il partito e di occuparsi di Presidenza del Consiglio? Peggio per lui: il congresso vero comincerà con la cancellazione dell'articolo tre, e lui sarà ridotto a candidarsi non alla leadership effettiva, ma alla segreteria organizzativa.
Un Alfano qualsiasi, diciamo.
Ecco cosa c'è dietro la proposta della Commissione per il congresso- non unanime, per fortuna, grazie a Morassut e Miotto - di cancellazione dell'articolo tre.
Contro questa proposta- sostanzialmente volta a chiudere il congresso prima di cominciarlo, via riforma dello statuto- c'è stata nell'Assemblea una reazione. Un vero e proprio rifiuto. Politicamente motivato.
Alcuni hanno detto e (molti di più) hanno pensato: la proposta di separare le due funzioni ha un suo senso. Cuperlo - con grande onestà politica e culturale- l'ha avanzata nel suo intervento. Ma la pretesa di farla passare come una banale manutenzione dello statuto vigente, no, questa è da respingere.
E così è stato. La mia è una ricostruzione fantasiosa? In realtà è stata solo confusione e rissosità? Per fortuna, c'è la prova del contrario. Una volta toccato con mano che sullo articolo tre non c'era la maggioranza prevista per l'abrogazione, la seduta dell'Assemblea è stata sospesa. Si è riunita la Commissione, alla quale sia Bindi, sia il sottoscritto -avendo ricevuto prima disponibilità e accordo da Cuperlo-abbiamo proposto di stralciare dalle modifiche dello statuto quella relativa all'articolo tre, pronti a votare a favore, quindi, garantendo l'unanimità dell'Assemblea su tutte le altre, compresa quella utile a consentire permanentemente a tutti i membri del PD quello che -con norma transitoria- si è consentito qualche mese fa a Renzi.
È un segreto di Pulcinella che i membri della Commissione che si sono opposti a quella ragionevole soluzione sono quelli indicati a farne parte dall'ex segretario e dall'ex vicesegretario. Perfettamente legittimo, intendiamoci. Ma anche tutto maledettamente chiaro.
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