venerdì 17 agosto 2018

Il prato in fondo al mare

Banco di Santa Croce, Vico Equense
di Filomena Baratto

Vico Equense - Da quando nel lontano anno 2000 lessi il libro di Stanislao Nievo, Il prato in fondo al mare, Premio Selezione Campiello nel 1975, andare per mare mi riporta sempre alle sue pagine. Ricordo quello che lessi e mai il mare mi è parso così pieno di misteri, vita e storie da rivelare. Tratta della scomparsa del vascello Ercole che nel 1861 partì da Palermo diretto a Napoli, e su cui viaggiava il famoso prozio Ippolito Nievo. Stanislao, che voleva tenersi lontano dalla scrittura per evitare confronti col famoso parente, fu costretto a prendere la penna proprio per scrivere della sua misteriosa scomparsa, con la speranza di capire cosa accadde in quella notte in cui il mare tirò a fondo il vascello con su lo zio e il mistero che custodiva. A tal proposito intraprese numerose ricerche e, solo quando le notizie divennero interessanti, ne fece argomento per un libro. Dopo una lunga fase d’indagini, l’autore si decise a scendere in immersione col sommergibile PC8 nelle acque tra Capri e Punta Campanella, luogo presunto dell’incidente. Le pagine in cui descrive la vita di questo fondale, le impressioni che ne ricava nello scoprire un mondo a noi interdetto, la flora e la fauna come bellezza sommersa, mi hanno riportato al Banco di Santa Croce, il “prato” odierno in fondo al mare, a 300 metri davanti lo stabilimento balneare “Bikini”, in località Vico Equense, poco dopo Capo d’Orlando, al confine tra Castellammare di Stabia e Vico Equense.
 
C’è qui un’area protetta con una legge per la sua tutela che risale al 1993, netta e circoscritta di una secca formata da 7 formazioni cosiddette panettoni, la cui parte più alta si trova a 10 metri di profondità, mentre le pareti sprofondano fino a 50-60 metri. Un magico mondo di vita nel mare, ricco di flora e fauna inimmaginabile. Mi chiedo cosa sarebbe stato capace di scrivere Stanislao Nievo se si fosse allontanato dal suo fondale di pertinenza, dove pose campo per le indagini, e si fosse diretto al Banco di Santa Croce, con quale cura avrebbe descritto osservando dall’oblò del suo mezzo marino quel mondo incantato in cui era finito. Stanislao è stato un autore all’altezza del prozio e le sue pagine descrittive del fondale marino sono tra le più belle mai lette. Il sommergibile gli permise di scoprire cose che non avrebbe potuto conoscere altrimenti, avvicinandosi ai reperti che lo interessavano, ma scoprendo allo stesso tempo le profondità marine, ricche di pesci in mezzo ai quali si inoltrava come un ospite curioso. Mi chiedevo se non fosse il caso di sperimentare qualcosa del genere per incontri ravvicinati con il Banco di Santa Croce, come la meraviglia del Golfo e più specificamente del mare di Vico, per raccontare come la vita nasce anche in situazioni impossibili. Un fantastico scenario che non si sa come sia venuto su tenendo conto che a poca distanza c’ è la foce del fiume Sarno che versa a mare le sue acque malsane, oltre all’inquinamento del mare che non è può essere più nascosto. In barba a queste condizioni, pesci e piante si sono uniti in consorzio per darci una lezione e farci sorprendere di come ci si possa rinnovare e affermarsi pure quando la vita sembra impossibile. Spesso del Banco di Santa Croce se ne sente parlare per la pesca di frodo e per le immersioni, due aspetti che non ci illustrano quello che vive in quel fondale ma dell’unico uso che se ne fa. Chiedendo in giro del sito, adulti e ragazzi hanno risposto con una smorfia di meraviglia di chi non conosce. Qualcuno, amante della pesca, mi ha guardato per dire “Cosa vai dicendo?” Poi dopo quello che gli ho raccontato, stupito mi ha risposto: “Abbiamo tutto questo e non ne sapevo nulla?” Molti non sono a conoscenza, né della posizione del sito, né delle specie che vi proliferano, né del Comune cui appartiene. Ma prima di essere tutelato il sito va conosciuto. Solo quello che si conosce si può apprezzare e di seguito preservare. Un’area marina così ricca deve farci riflettere come faccia questo arcipelago di 7 panettoni, come vengono denominati, a pullulare di vita con tante specie di pesci e di piante. Per chi ha avuto modo di vedere da vicino con le immersioni, avrà potuto godere di una vista unica di gorgonie rosse e gialle, spugne di colore arancio intorno a cui girano banchi di pesci, gruppi di tutte le forme e colori, come chi conosce la strada e quello che ha da fare. Il silenzio avvolge i loro movimenti e la luce, che nei primi dieci metri cede il passo al buio, rende, oltre questa profondità, tutto uno splendore. La conformazione del panettone più alto si apre a un passaggio verticale nella roccia che fa da via tra una parte e l’altra e in cui si avventurano pesci grandi e piccoli, tra anfratti e caverne, grotte e rocce scivolose o ricche di vegetazione. Vederli sfrecciare confondendosi tra i colori accesi delle gorgonie, tra le immancabili bollicine di chi si avvicina a riprenderli unito al blu marino come diffusore di quel silenzio in cui vagano, rende chiaro quanto sia unico quello che capita di vedere ai nostri occhi. E poi le cernie, le alici, le ricciole, lucide con le branchie a mo’ di corolle tese, diventano come i personaggi di una fiaba mentre cerchiamo di confrontarle con quelle che portiamo in tavola e che mai ci sono state presentate a quel modo. E poi i tonni, pesci luna che non temono le incursioni di quanti vanno a importunarli, loro, da padroni, sfrecciano sicuri come nababbi incuranti dei picchi di inflazione e i cali di borsa. Sono pieni di sé, ma in cuor loro sanno che da un momento all’altro un visitatore potrebbe togliergli la vita e, anche in attesa di questa morte prematura, vogliono vivere il loro giorno più bello. Dovremmo prendere esempio: le azioni dei pesci, che ricamano traiettorie in mezzo a stupefacenti gorgonie, sono incessanti, come se il movimento continuo li rendesse invulnerabili, come se la vita gli chiedesse di non fermarsi ma continuare il ciclo indaffarato e operoso dal quale dipende quello degli altri. Ognuno vive per sé in mezzo agli altri e per tutti quanti gli altri. Una catena più forte di ogni avversità. Lì sotto non c’è tempo, solo vita, si perde ogni concezione e congettura, quando davanti si ha un mondo come in un’ampolla santa, e dove vengono meno anche le domande: come può accadere proprio qui, in questo golfo bistrattato, dove le battaglie per l’inquinamento sono all’ordine del giorno, dove tutto è così difficile da mantenere puro e pulito, che esista questo incantesimo? L’unica risposta possibile è la vita che nasce anche quando non ce l’ aspettiamo e a dispetto di quello che le facciamo. Lei vince sempre. Qui il mare ha trovato la forza di rinnovarsi, un suo habitat ex novo, ha messo mano a una costruzione fenomenale e ci insegna che l’equilibrio è vitale. Stanislao Nievo avrebbe materiale per un libro se fosse ancora con noi, sarebbe certamente attratto dalla perfezione in un mare imperfetto. Questa volta giungerebbe alla genesi della sua formazione, alla bellezza della vita nel mettere in atto le sue azioni disperate pur di non venire meno. Avrebbe osservato come se dovesse trarre la storia di ogni sua parte e da questo la storia del nostro mare. Qui ci sono molti “perché” da chiedersi e molte cose da capire. Invece di speculare dovremmo rendere noto il sito, lo sforzo dovrebbe essere volto alla conoscenza di ogni sua parte. Ci servirebbe un sommergibile PC8 per conoscere il prezioso fondale, che non porta un relitto, ma lo splendore della natura. Non possiamo affidare la conoscenza solo a quei pochi che vanno in immersione, ma farne apprezzare la bellezza a molti, soprattutto ai giovani, per incuriosirli e portarli ad amare il territorio. Poterci girare intorno approfondendo flora e fauna, potrebbe essere un bel modo di tutelare insieme. Dovremmo parlare del Banco di Santa Croce per le sue meraviglie, i suoi colori, la vita silenziosa e piena di luce. Potrebbe diventare un laboratorio facendo moltiplicare le sue specie e arricchire il mare di cui si nutre. Quanti ignorano la vita che scorre sotto le loro barche, che la pesca da quelle parti è come un sacrilegio, che quello scampolo d’acqua non è una normale porzione di mare. E credere di poter fare scempio del sito con la stupida idea che a mare siamo liberi. Se il mare è di tutti allora dovremmo sapere cosa sono le gorgonie, o un’aquila di mare o le spugne o il gattuccio, quali specie di pesci vivono e quali quelli che mancano. Chi conosce, rispetta. Tutelare è prima ancora scoprire ed educare ai beni del territorio. E questo ne ha veramente tanti, dai monti al mare.

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