di Filomena Baratto
Vico Equense - In giornate di pioggia o di vento, con l’estate che volge al termine, quando il mare trascina a riva i suoi inquilini, troviamo seminate nella sabbia, se non interrate, le conchiglie. Hanno l’aria di essersi salvate dalla bufera, come rigurgiti di Nettuno quando rivolta i fondali. Nelle giornate assolate non è facile scoprire le conchiglie portate dalle correnti, ma in giorni come questi sono sparse sulla battigia. Sono aggrappate alla sabbia, un po’ arrabbiate per essere gettate a riva dal mare, come un padre snaturato. Si scoprono agli occhi di chi cerca i suoni e le meraviglie dell’acqua. Ce ne sono di tutte le forme e le grandezze, l’acqua le ha levigate e scolpite rendendole preziose. Portano sulle loro case raggi, code, puntini, stelle e corolle arrotolate. Hanno dentro il rumore e se appoggiate alle orecchie risuonano del luogo di provenienza. Ed è come se parlassero lì sulla sabbia mentre si asciugano al sole, ancora cariche di sale, ghirigori, intarsi e volute, bisbigliano tra loro, raccontano le paure, la durata della traversata e l’epilogo. Piangono le altre che nel viaggio si sono perse e non hanno avuto la giusta sepoltura, compagne di sempre e ora chissà... Quei puntini, quelle striature ora luminose, ora ruvide, quei contorni, come se li avesse disegnati un pittore, invitano al tocco delle dita seguendo i bordi delle sagome.
Di cosa sono capaci i molluschi! Ora vedi un sottilissimo ventaglio, ora un capitello corinzio, o pezzi di pasta arrotolata, corpi densi scavati all’interno. Cento forme, tutte stupende che stordiscono e confondono. Sono protette da case più belle che sicure, costruite da precisi ricamatori e tenaci artigiani! Aspettano che una mano le raccolga nel palmo e le analizzi, le ascolti, le esamini. Esempi di riservatezza, si piegano su se stesse a cantare storie di vita. Forse raccontano di un viaggio, come uno dei tanti per mare, magari avranno avuto la stessa odissea e ora sono stanche, vogliono accoglienza senza troppe spiegazioni, né inquisizioni di sorta. Se solo sapessimo decifrare il cupo suono che producono, capiremmo che si sono perdute, sono deluse. Avrebbero voluto spiagge diverse, accoglienze migliori, comprensione, ma a volte siamo sconosciuti anche sulla stessa riva.
Se le infili una dopo l’altra e le poni a bracciale, il suono prodotto ti riporta l’acqua, il suo gioco di onde, con la spuma, la finta rincorsa a riva. Le conchiglie ci parlano del mare anche in inverno, nelle ciotole di casa in cui le abbiamo riposte, con il loro inconfondibile odore di salsedine, e di ognuna ricordiamo il luogo e l’ora in cui le abbiamo raccolte. Vivono così in eterno chiudendo nei loro gusci la vita passata. E poi non sono mai sole, portano amici con loro: una stella, un cavalluccio, un cannolicchio, una tellina, un granchio. I bambini sanno come giocarci con le palette nei secchielli pieni d’acqua prendendone le misure come fossero architetti, controllandone lo spessore e la consistenza prima delle capriole. Le conchiglie raccontano delle stagioni tra gli scogli e il fondale, della loro vita silenziosa e, dopo l’abbandono dei padroni, restano vuote, sole, come tanta chincaglieria in bellavista: aspettano di scrollarsi di dosso la grande fatica. Ora abitano terre diverse, non belle come quelle di provenienza, ma finalmente una tregua alla tempesta ormai alle spalle.
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