di Filomena Baratto
Sembra il titolo dei compiti di una volta, quando a scuola l’insegnante dava un argomento da trattare, un pretesto per indurre l’alunno a scrivere e non c’era tema più semplice del tempo. E cosa si scriveva a riguardo? Che è il mese del Carnevale ricordando che è una festa religiosa, che fa freddo, talvolta c’è la neve. Oggi l’inverno non è poi così lungo, la primavera è saltuaria e la pioggia fa i capricci sbagliando stagione. Una volta il vento veniva di marzo, con un compito preciso: trasportare i semi. E noi? Osservavamo ogni piccolo cambiamento della terra, del cielo, dei nostri stati d’animo. L’estate ci rendeva allegri e l’inverno malinconici. Oggi basta un bel viaggio per cambiare umore e abbiamo così l’estate tutto l’anno. Una volta l’influenza era italiana, l’indigestione avveniva per un cibo che ben conoscevamo. Oggi siamo cosmopoliti e se ti becchi l’influenza è quella pandemica, se ti punge un insetto non sai bene se sia stato sul Nilo o nella Pianura Padana, se hai un’indigestione, devi fare uno sforzo per capire cosa e dove hai mangiato: se al ristorante giapponese, cinese, al McDonald, alla mensa. La globalizzazione ha cambiato anche i pensieri e parlare di febbraio può sembrare uno stupido esercizio di scrittura.
Chi vuoi che si interessi a questo mese, corto, insignificante, col clima che cambia, i ghiacciai che si sciolgono, le giornate con le loro perenni nebbie che hanno tolto la nitidezza ai colori di una volta. Ma abbiamo bisogno di un punto di riferimento che non ci faccia dimenticare la bellezza delle stagioni, di quella che abbiamo conosciuto sin da piccoli, quando si guardava fuori alla finestra per osservare il cielo, la terra, il mare, le prime punte sugli alberi, gli insetti, la pioggia con i suoi suoni, i bubbolii dei tuoni di pascoliana memoria, gli spostamenti delle nuvole. Tutto accadeva con un tempismo perfetto. Allora un germoglio annunciava la primavera e la neve una lunga coperta sulla terra che dormiva, una montagna innevata era l’immagine dell’inverno e il mare grigio e burrascoso incuteva paura. Oggi nel tema di febbraio possiamo scrivere che la mimosa è quasi fiorita e forse per l’8 marzo sarà già secca, che non fa freddo, che il Carnevale qualche volta arriva a marzo, sugli alberi già c’è qualche gemma e il sole è caldo e per niente pallido. Febbraio si è aggiornato, non è più quello di una volta. Anche Greta Thunberg avrà effettuato un confronto con i temi dei suoi genitori notando che il suo febbraio è così lontano da quello descritto nei loro quaderni di scuola. Febbraio è diverso. Quante specie di uccelli non vedrà più, quanti profumi persi, quanti colori. E se volessimo evitare le parole, avremmo sempre uno stuolo di pittori con giornate uggiose, freddi di tramontana, alberi spogli con i rami stecchiti al cielo, acque ghiacciate di fiumi e i bucaneve che si affacciano sul bianco macchiato di giallo nelle mattine con sole o di celeste quando il freddo congela ogni cosa. Febbraio lo conosciamo bene, ormai sono anni che ritorna. Ha affinato il nostro sentire e vedere per capire che non è più quello dei nostri temi. Nessuna rondine si prepara a tornare per il mese prossimo, ormai sono in estinzione, non c’è più il camino con la legna, ma stufe e condizionatori che hanno inquinato gli interni delle nostre case. Ma se ne dobbiamo scrivere ci sovviene la memoria che non sopporta i cambiamenti, lei è fedele a ciò che ha imparato, restia ad ogni metamorfosi di tempo come di ogni cosa. D’altra parte anche noi ci sentiamo sempre bambini, per poi aggiungere “dentro”, volendo sottolineare che ben sappiamo quanto siamo cambiati fuori, ma nello spazio interiore custodiamo il nostro tempo che non tradisce nemmeno le stagioni. Febbraio resta sempre il mese della Candelora, la Presentazione di Gesù al tempio, del Carnevale, delle chiacchiere, della lasagna, del sanguinaccio, del gelo, degli alberi spogli, delle formiche che, finite le provviste, escono per i primi sopralluoghi in cerca di avanzi, dei fiori che fanno capolino tra la neve, dei paesaggi innevati e silenziosi, della leggera malinconia che prende prima della primavera. Abbiamo bisogno di certezze per affrontare i cambiamenti.
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