martedì 25 aprile 2023

Social in crisi, torna di moda l’informazione (quella vera)

di
Vittorio Sabadin da Il Mattino 

Anzi, si sta già assistendo a un ritorno al passato che vede sempre più persone andare direttamente alle home page dei giornali o dei siti di informazione più autorevoli, che producono il loro materiale senza copiarlo o rubarlo da altri. Nell'ultimo decennio si è pensato che si fosse messo in moto un trend inarrestabile, con Facebook e Twitter diventati le prime pagine del mondo di Internet. I loro algoritmi sapevano che cosa il consumatore voleva vedere e gli offrivano intrattenimento, video e vita sociale. Offrivano anche notizie, o copiandole o dirottando l‘utente verso la home page dell'organizzazione giornalistica che l'aveva prodotta. Il mondo che i futurologi immaginavano era quello in cui il denaro avrebbe inseguito questo trend, premiando le foto dei gattini o i consigli su cosa fare in città invece che investire sul "New York Times" o su Le Monde". Un sito web americano attento a questi fenomeni, Semafor, ha citato un interessante articolo di Hillary Frey, direttrice di "Slate", rivista online del Washington Post. Secondo Frey, il decennio appena passato non ha indicato una direzione nuova, ma è stato una deviazione che ha fatto solo perdere tempo. Deluse dagli algoritmi e dai social, le persone stanno tornando dove le informazioni sono certificate da un'organizzazione responsabile, fondata su sistemi di controllo e su solide tradizioni.

  Sta avvenendo dovunque, al New York Times come a Fox News, i cui visitatori vanno oggi per il 70% direttamente alla home page invece che arrivare da un social. II nuovo modello che doveva cambiare tutto mostra la corda. Facebook non ama più le notizie, Twitter è in grave crisi e si dibatte in diatribe marginali come la spunta blu, i siti che venivano indicati ai direttori dei giornali come il nuovo che avanza, come "Vice", "BuzzFeed News", "Insider" hanno chiuso o cercano inutilmente un compratore, mentre vecchi giganti come il "New York Times" stanno vendendo con profitto contenuti esclusivi ai loro abbonati. E' in difficoltà pure lo streaming, che assomiglia sempre di più alla vecchia televisione con Netflix che sta pensando di introdurre la pubblicità. La nuova era sembra quella vecchia, il gioco è di nuovo cambiato. «La strada non è liscia e nessuno andrà avanti facilmente - ha scritto Hillary ai Frey -. Ma essere liberi dalla nostra dipendenza dalle piattaforme tecnologiche migliorerà la nostra attività. I vecchi trucchi del traffico non funzionano più: ciò che funziona è la qualità del prodotto e il servire un pubblico che ti ama così tanto da pagare per quello che fai. Il giornalismo è sempre stato cosi». Ma perché il vecchio modello basato sulla qualità delle informazioni e su uno stretto legame con il proprio pubblico ritorni a funzionare occorrerà che norme vincolanti blocchino la possibilità, largamente usata dai social e da molti siti di intrattenimento e di informazione, di copiare e utilizzare gratuitamente i contenuti giornalistici prodotti con alti costi dalle organizzazioni tradizionali. Rispetto alla giungla di qualche anno fa molto è stato fatto, in Europa e in Italia, ma i giganti del web come Google ancora si oppongono a pagare gli articoli che pubblicano e minacciano ritorsioni contro chi lo chiede. I social non si pongono neppure il problema, mentre è vitale per chi produce informazione ricevere un compenso per le spese che ha sostenuto e per fare quadrare i bilanci, condizione indispensabile a un giornale per mantenere la propria libertà. Nei primi anni del 2000, mentre lavoravo a un libro su questi temi, partecipai a una conferenza a Parigi nella quale un direttore mostrò una lunga stampata con le notizie presenti nella home page di un sito web che minacciava il futuro dei giornali. Poi fece vedere la stessa lunga stampata, dalla quale erano stati tagliati via tutti gli articoli rubati da giornali tradizionali. Di quel futuro non restava quasi più niente.

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