venerdì 24 agosto 2018

Il ponte


di Filomena Baratto

Vico Equense - La parola riscoperta di oggi è ponte. Prima di Genova la usavamo per unire, per creare alleanze, amicizie, ma ci siamo ricreduti da quando ha assunto il valore di rompere, crollare, cedere. Andiamo in giro con gli occhi all’insù per controllare i punti critici dei cavalcavia che facciano pensare a un cedimento imminente. Brooklyn, London Bridge, Golden Gate Bridge, che destano meraviglia, sono passati in secondo piano, il primato del ponte nero spetta all’Italia, dopo il disastro di Genova, diventando il simbolo dell’Italia che cede. Sto lavorando sulla mia paura dell’aereo da quando la terraferma non mi sembra più così sicura. E se i ponti crollano, ci salva il volo! Al di là delle responsabilità, dei progetti, della manutenzione, delle tonnellate di merci che ogni giorno vi transitano, i ponti, bisogna ricordare, sono elementi antropici, creati dall’uomo e pertanto imperfetti anche quando sembrano opere eccezionali. Dimentichiamo che la terra trema, che la pioggia bagna e lede il ferro, che il vento rode, che il freddo e il gelo corrodono, che la salsedine attacca e consuma. Un ponte, se volessimo dargli una vita pari alla nostra, superata una certa età dovrebbe andare giù ed essere ricostruito.
 
Quando accade una tragedia, prima o poi i colpevoli e gli irresponsabili, anche se si dividono le colpe, con i tempi lunghi della giustizia, trovano i modi per superarle, ormai i morti non ritornano più ed è bene salvare la pelle di chi vive. Affidiamo troppe cose al tempo che invece non può mantenere. Il cemento si sfalda, il ferro si arrugginisce, le tensioni dei tiranti allentano, il peso carica. Ma affidiamo al tempo anche l’oblìo, le promesse, le decisioni, le nuove costruzioni, il miglioramento quando non si traduce in un’altra irresponsabilità. E’ come la nostra vita. Non è che arrivati a una certa età anche se ti curi, puoi reputarti sano come un pesce come se avessi 20 anni. Sempre quella sarà l’età, magari tenuta bene, ma questo non toglie che possa essere attaccata dai mali della vecchiaia mentre la gioventù si allontana sempre più. Potrai spaccare le pietre, mangiare senza freno, dormire pochissimo, fare innumerevoli sforzi? No! Anche dopo il “tagliando” devi rispettare la tua età. Così le opere pubbliche. Dopo gli anni di vita consentiti dovrebbero essere rifatte con criterio senza alcun risparmio. Non siamo bravi come i nostri Romani, maestri di strutture pubbliche che ancora oggi resistono. Gli acquedotti romani, secondo Christer Bruun, professore di storia romana, lingua e letteratura latina all’Università di Toronto, nel libro Roma Imperiale a cura di Elio Lo Cascio, possono aggiungersi alle sette meraviglie del mondo. Oggi si salvano solo le piramidi e gli acquedotti, che non ne facevano parte. In più avevano un’importanza sociale per l’approvvigionamento idrico e sono la testimonianza del genio romano. E’ anche vero che tutte le opere romane rimaste intatte fino ad oggi non hanno avuto l’uso massiccio di quelle moderne. I nostri viadotti sopportano pesi al limite del possibile ed è proprio l’usura a metterli in pericolo. Sulle nostre autostrade viaggiano più merci che auto e persone, ad ogni passo ci sono cantieri aperti a tempo indeterminato mentre persistono cavalcavia insicuri, ponti pericolanti, corsie con manto dissestato, piloni non più agili come una volta, tratti di autostrade non a norma di sicurezza. Con la dovuta manutenzione sicuramente i pericoli sarebbero stati presi in considerazione e trovate le soluzioni più appropriate. Nel tempo cambia la morfologia del terreno, l’acqua avrà trovato corsi diversi, le intemperie avranno fatto il loro lavoro. Un ponte che crolla porta via con sé le nostre sicurezze e quello che fino a poco tempo prima univa, ora è più distante. Si passa dalla costernazione, alla paura, al perdere la fiducia in chi dovrebbe monitorare e non lo ha fatto per malafede o per troppa superficialità. Morire da un momento all’altro o salvarsi per una frazione di secondo, sono questi i paradossi del ponte. Nel romanzo di Thornton Wilder, Il ponte di San Luis Rey, si narra la caduta del ponte sulle Ande di San Louis Rey nel 1714, che metteva in comunicazione Lima, capitale del Perù, con Cuzco. Muoiono 5 persone e frate Ginepro fa appello alla fede cercando di comprendere quale sia stato il motivo di quella coincidenza: il fatto che siano morte proprio quelle persone e non altre. Crede che ci debba essere una motivazione, qualcosa che le accomuni. E così comincia a scavare nelle vite delle vittime alla ricerca di un elemento che motivi il loro sacrificio. Esclude aprioristicamente la fatalità, mentre è convinto che Dio abbia avuto un suo disegno e che pertanto può essere dimostrato solo con una fede cieca. La sua religione sembra più una scienza. Cerca di analizzare quello che invece non può essere analizzato e il male, che spazza via quelle persone, resta alla fine un mistero. Morire in pochi secondi o salvarsi per un’altra manciata, è questo il rompicapo. Il mistero di Dio che dispensa alle sue creature mali per salvarle da altro che non rientra nella nostra dimensione, così crede frate Ginepro. Ma se quel ponte non fosse caduto, quelle vittime avrebbero avuto altro tempo prima di perdere la vita. A questo punto il ponte diventa strumento di Dio per attuare i suoi piani come se noi non avessimo la nostra responsabilità, che spesso confondiamo con la volontà del Creatore. E se i ponti cominciano a crollare, stando alla teoria di frate Ginepro, ci sono in atto molti piani. Forse Dio non si prende cura della stupidità di chi dovrebbe vigilare e tutelare i cittadini, visto che sarà la stessa stupidità a pagare, quando, capovolgendo le situazioni, chi doveva agire e non lo ha fatto diventa capro espiatorio di tutto la situazione provocata. Quando lo Stato non dà sicurezza, perde la fiducia dei suoi cittadini. La paura porta a evitare i ponti, quando ci sono strade alternative. Spostarsi porta in sé un pericolo e mai come oggi il progresso ci sembra così fragile, rivela i suoi limiti, e mentre prima poteva semplificarci la vita, oggi comincia a rendercela un inferno.

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