giovedì 2 dicembre 2010

Il Pd si spacca sull'università

"Il Pd darà battaglia contro il ddl Gelmini sull'Università", "provvedimento arretrato, sbagliato, iniquo", e ancora "i baroni sono gli unici rimasti a difendere la riforma", "è un disastro omeopatico, smantella l'università pezzo a pezzo". Così dichiaravano a giornali e agenzie gli esponenti del Partito democratico alla vigilia della votazione alla Camera sulla riforma dell'Università. Un partito convinto che "le riforme senza popolo non si possano fare", con il segretario Bersani che sale sui tetti di Architettura e chiede una mano perché: "noi siamo un partito reale e facciamo le riforme di cui la gente ha bisogno". Un segretario che, a chi solleva il tema delle risorse e del risanamento dei conti, fiducioso e fermo risponde: "non si può chiedere di scomodarsi sempre agli stessi". E "non si può chiedere di scomodarsi"nemmeno ai deputati, devono aver pensato ieri quei 64 democratici che hanno fatto affossare l'emendamento promosso dalla rutelliana Alleanza per l'Italia. Il testo redatto dai deputati Marco Calgaro e Bruno Tabacci prevedeva di finanziare i contratti di ricercatore a tempo indeterminato, ricorrendo ai fondi per il finanziamento pubblico ai partiti. Concretamente si trattava di sottrarre 20 dei 100 milioni di euro stabiliti per i rimborsi elettorali annuali. Non molto in realtà, ma una parte della casta, più che ergersi a paladino dei precari, ha preferito salvaguardare i propri interessi. Da una parte il capogruppo Dario Franceschini, dall'altra l'ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti. Franceschini ha invitato, coerentemente alle dichiarazioni , a votare a favore, e Sposetti ha manifestato violentemente il suo dissenso. Si tratta di "una norma indecente", ha annunciato il tesoriere. Certo "vi è la necessità di una grande battaglia a favore della ricerca", ma i soldi pubblici ai partiti proprio non si possono toccare. Del resto per l'economo Sposetti i conti del partito sono sempre stati una priorità, tant'è che durante le primarie del 2007 arrivò a proporre di far pagare 10 euro a tutti quelli che fossero andati a votare. E così, su un emendamento che doveva essere condiviso, il Pd si è spaccato. Seguono Franceschini, Walter Veltroni e i fedeli Verini, Minniti e Melandri, i prodiani Enrico Letta, Arturo Parisi, Roberto Giacchetti, ma i sì a favore dei ricercatori si fermano a quota 143. Sposetti miete proseliti come l'ex ministro Livia Turco e l'altro tesoriere del Pd Antonio Misiani. Ha votato contro Sergio D'Antoni perché:"è solo demagogia, non si può affrontare in questa sede la questione del finanziamento pubblico. Si parla di riforma dell'Università e sarebbe più opportuno considerare i tagli che il governo ha fatto, piuttosto che proporre demagogia". E ancora più convinto è il dalemiano Gianni Cuperlo, negli anni Ottanta leader della Fgci, i giovani del Pci, e poi una vita in via delle Botteghe Oscure. Cuperlo non ha dubbi: "i finanziamenti ai partiti sono necessari, ne dipende la democrazia. Certo serve un sistema di finanziamento trasparente, ma se non ci fossero, potrebbero fare politica solo le persone con un potere patrimoniale". Alla bocciatura dell'emendamento hanno contribuito anche gli astenuti come Massimo D'Alema, Piero Fassino e Marianna Madia. La ricercatrice, ormai troppo lontana dalla ricerca, difende il suo nuovo lavoro di professionista della politica: "Quello dell'Api era un emendamento demagogico e io nutro forte risentimento per chi usa questi temi in modo strumentale. Se esiste un tema sui finanziamenti ai partiti bisogna aprire un dibattito su quello, non nell'ambito della riforma universitaria. Occorre una riflessione, ma non può essere usato strumentalmente". Non ha votato nemmeno Andrea Orlando. Lui nel curriculum vanta poca università e moltissima vita di partito e quindi ritiene che: "non si possa parlare di tagli ai finanziamenti pubblici ai partiti in questo momento storico, alla vigilia di una possibile campagna elettorale. Certo è opportuna una revisione in un'ottica di trasparenza, così come è necessaria per i finanziamenti dell'editoria, ma occorre discuterne in modo organico". (L’Espresso)

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