Napoli, dove tutto è precario tranne l’emergenza. Anzi le emergenze, al plurale: criminalità, lavoro, rifiuti, turismo, casa, dissesti stradali, e di sicuro ne stiamo dimenticando qualcuna. In questa città che sprofonda ogni giorno di più senza che la sua screditata classe dirigente muova un dito per tentare di arginare il disastro ormai imminente, di quando in quando si levano delle voci disperate, come quelle di vittime del terremoto intrappolate sotto le macerie che chiedo no ostinatamente soccorso: ieri è stata la volta dei precari — studenti, insegnanti, ricercatori, giornalisti —, ovvero le vittime della moderna macelleria sociale con stampata sulla fronte la data di scadenza del contratto (sempre nel caso fortunato che un contratto ci sia), e, in contemporanea, dei cittadini del Monnezza Day stufi della crisi dei rifiuti che è diventato l’umiliante (e permanente) biglietto di presentazione di Napoli davanti al mondo. Due piazze in cui rabbia incontenibile e amara ironia sono le due facce di una medesima sensazione: quella di essere stati lasciati soli dinanzi a problemi di una vastità e di una gravità che avrebbero dovuto invece comportare la mobilitazione immediata e la solidarietà attiva di tutto il corpo sociale, e in particolare della politica locale. Una politica che ormai non prova nemmeno più a dare risposte: chiusa nella propria autoreferenzialità, essa si fa beffe dell’intelligenza degli elettori perché il suo unico obiettivo è carpirne il consenso, non certo quello di risolvere le drammatiche emergenze in atto. E ovviamente (ovviamente per un paese in coma profondo come il nostro) l’imminenza del voto amministrativo serve solo a incrementare ulteriormente il già nauseante rimpallo di responsabilità tra chi governa adesso e chi governava prima: allontanando di fatto ogni prospettiva di uscita dalla crisi, rimandata alle calende greche di un futuro di civiltà, legalità, benessere. Così, tra il lavoro che non c’è mai e i rifiuti che ci sono sempre di più, il grado di tossicità della politica cittadina è già oltre i livelli di guardia: sulla saga infinita delle discariche che nessuno vuole, del termovalorizzatore che forse funziona ma forse no, sulla differenziata che tutti i politici promettono in percentuali nordeuropee ma si vede benissimo che non sanno di che cosa stanno parlando, sarebbe il caso di mettere un punto, e di creare una «coalizione dei volenterosi» (magari un po’ più seria di quella messa assieme per risolvere le crisi internazionali) per provare a progettare insieme il futuro, invece di continuare a rinfacciarsi il passato. Sappiamo purtroppo che ciò non accadrà, e che i gioco dell’oca ricomincerà magari con la prossima promessa (e la prossima barzelletta) del presidente del Consiglio, il «risolutore» abituato a risolvere qualsiasi guaio in massimo quarantott’ore, solo che alla quarantanovesima si scopre che era tutto fumo mediatico e niente arrosto reale. Il nostro tempo è adesso, gridavano ieri i precari. A Napoli è stato rubato anche quello: in cambio, la città ha ricevuto diciassette anni di emergenze. E allora: invece di pretendere il voto, ci presentino le scuse. (Fonte: di Antonio Fiore da il Corriere del Mezzogiorno)
lunedì 11 aprile 2011
La politica chieda scusa
Napoli, dove tutto è precario tranne l’emergenza. Anzi le emergenze, al plurale: criminalità, lavoro, rifiuti, turismo, casa, dissesti stradali, e di sicuro ne stiamo dimenticando qualcuna. In questa città che sprofonda ogni giorno di più senza che la sua screditata classe dirigente muova un dito per tentare di arginare il disastro ormai imminente, di quando in quando si levano delle voci disperate, come quelle di vittime del terremoto intrappolate sotto le macerie che chiedo no ostinatamente soccorso: ieri è stata la volta dei precari — studenti, insegnanti, ricercatori, giornalisti —, ovvero le vittime della moderna macelleria sociale con stampata sulla fronte la data di scadenza del contratto (sempre nel caso fortunato che un contratto ci sia), e, in contemporanea, dei cittadini del Monnezza Day stufi della crisi dei rifiuti che è diventato l’umiliante (e permanente) biglietto di presentazione di Napoli davanti al mondo. Due piazze in cui rabbia incontenibile e amara ironia sono le due facce di una medesima sensazione: quella di essere stati lasciati soli dinanzi a problemi di una vastità e di una gravità che avrebbero dovuto invece comportare la mobilitazione immediata e la solidarietà attiva di tutto il corpo sociale, e in particolare della politica locale. Una politica che ormai non prova nemmeno più a dare risposte: chiusa nella propria autoreferenzialità, essa si fa beffe dell’intelligenza degli elettori perché il suo unico obiettivo è carpirne il consenso, non certo quello di risolvere le drammatiche emergenze in atto. E ovviamente (ovviamente per un paese in coma profondo come il nostro) l’imminenza del voto amministrativo serve solo a incrementare ulteriormente il già nauseante rimpallo di responsabilità tra chi governa adesso e chi governava prima: allontanando di fatto ogni prospettiva di uscita dalla crisi, rimandata alle calende greche di un futuro di civiltà, legalità, benessere. Così, tra il lavoro che non c’è mai e i rifiuti che ci sono sempre di più, il grado di tossicità della politica cittadina è già oltre i livelli di guardia: sulla saga infinita delle discariche che nessuno vuole, del termovalorizzatore che forse funziona ma forse no, sulla differenziata che tutti i politici promettono in percentuali nordeuropee ma si vede benissimo che non sanno di che cosa stanno parlando, sarebbe il caso di mettere un punto, e di creare una «coalizione dei volenterosi» (magari un po’ più seria di quella messa assieme per risolvere le crisi internazionali) per provare a progettare insieme il futuro, invece di continuare a rinfacciarsi il passato. Sappiamo purtroppo che ciò non accadrà, e che i gioco dell’oca ricomincerà magari con la prossima promessa (e la prossima barzelletta) del presidente del Consiglio, il «risolutore» abituato a risolvere qualsiasi guaio in massimo quarantott’ore, solo che alla quarantanovesima si scopre che era tutto fumo mediatico e niente arrosto reale. Il nostro tempo è adesso, gridavano ieri i precari. A Napoli è stato rubato anche quello: in cambio, la città ha ricevuto diciassette anni di emergenze. E allora: invece di pretendere il voto, ci presentino le scuse. (Fonte: di Antonio Fiore da il Corriere del Mezzogiorno)
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