domenica 29 novembre 2015

Tu, di che educazione sei?

di Filomena Baratto

Vico Equense - Rousseau diceva che per natura siamo buoni ma la società ci rende cattivi. E forse aveva ragione. L’educazione l’ha dettata la civiltà per regolare i nostri rapporti, ma nel tempo è diventato un valore sempre meno considerato. Ma cos’è l’educazione? Non sicuramente solo quella che si apprende a scuola, è tutta una serie di regole del buon vivere che ci portiamo come bagaglio sin dalla nascita nel nostro ambiente di appartenenza. E non voglio scomodare il padre del Galateo, Monsignor Giovanni Della Casa, il primo a tracciarne un modello, pubblicato postumo nel 1558, per dire che l’educazione è una serie di norme di cui tener conto per relazionarsi con gli altri e senza le quali ogni rapporto risulta caotico. Qui più che di Galateo, parliamo di atteggiamenti e modi di fare che si respirano già in seno alla famiglia, dove gli educatori sono i genitori prima ancora della scuola. La famiglia è la prima maestra di vita, quella che trasmette regole ben precise. Salutare, chiedere, partecipare, rispettare il prossimo, non sono azioni vuote, ma un modus vivendi, per cui un grazie, scusi, buongiorno, non sono semplici espressioni, ma stili di vita. Sin da piccoli dobbiamo apprendere che: la mia persona e il mio spazio finiscono dove comincia quello del prossimo, che non siamo posti al centro del mondo ma nel mondo, con tutti gli altri; che partecipare ai momenti importanti degli altri è un piacere; che il rispetto è dovuto; che dire buongiorno per primi non è sottomettersi; che rispondere a un saluto non è dare importanza all’altro come spesso crediamo. L’educazione non è solo un decalogo di regole da applicare, ma un’aria da respirare. Ci sono persone che, anche con dieci lauree e l’esagerazione è d’obbligo, comprese quelle honoris causa, resteranno sempre degli analfabeti civili se infrangono le regole della buona educazione.
 
Gli atteggiamenti che adottiamo da adulti spesso ne sono privi, preferiamo mettere a punto modi di fare più consoni e sbrigativi in base ai risultati che vogliamo ottenere. A volte, incontrando persone fuori dal contesto in cui le abbiamo conosciute e, salutandole, queste possono avere un atteggiamento freddo nei nostri confronti con occhiate che possono voler dire:”Ma chi ti conosce!” Chi non risponde a un saluto, trova mille scuse che diventano luoghi comuni come: “Non ho visto, non ho sentito, non ti ho riconosciuto!”. Poi c’è la schiera dei “nobili” quelli che si alzano tre spanne da terra e non hanno contatti con i propri simili se non tramite altre persone e, anche in quel caso, si preservano la libertà di contattare e relazionarsi solo se lo desiderano. E’ sempre bene dare spiegazioni, mostrarsi attenti, mai sottovalutare gli altri e mai pensare di non aver bisogno del prossimo. Di quest’ultima schiera ne ho conosciuti a iosa. Di solito sono persone che hanno una grande considerazione di se stessi e si mettono al centro del mondo come se fossero esseri soprannaturali. Altri preferiscono ricordarsi di te al momento opportuno, quando fa comodo, quando sei utile, “tanto non hanno niente da perdere”. Ci sono le persone di un’estate, di una stagione, di un evento, di una serata che, in quel contesto, sembrano amici, ma fuori di lì, perfetti sconosciuti. Le stesse regole valgono anche per l’amicizia. C’è quella di una vita, quella di comodo, di facciata, di opportunità. C’è l’amico che ti misura, ti critica, ti osserva, ti rimprovera e quello che ha bisogno di te, ti è sempre vicino, tira fuori il meglio di te e ci tiene a non perderti. Anche in questo rapporto l’educazione docet, ed essere amici non è servirsi degli altri e mostrarsi maleducati solo perché lo conosciamo intimamente. Il rapporto d’amicizia è inversamente proporzionale: più si è intimi, più l’educazione ci ripara da brutte sorprese. A volte l’amicizia, proprio per essere profonda, può sfociare nella “mala creanza”. E l’educazione stradale? L’infrazione più ricorrente è il divieto di sosta che puntualmente non viene rispettato. Si sosta in doppia fila, sulle strisce gialle, sulle strisce pedonali, davanti a un passaggio per disabili, davanti a un parco giochi. L’auto la fa da padrona ma anche i pedoni talvolta non sono da meno. A volte ti attraversano davanti credendo che, se succede qualcosa, loro hanno la meglio, se non altro per rivalersi sulle assicurazioni. Il pedone deve disciplinarsi come l’automobilista, in entrambi i casi ci sono delle esagerazioni. La sosta più insopportabile è quella che nega il passaggio a persone disabili. In una società evoluta, tutti dobbiamo avere i nostri diritti indistintamente, e nel momento in cui priviamo l’altro di un suo diritto, fregandocene delle sue condizioni, gli neghiamo quello che gli spetta. Magari ce ne ricordiamo solo se a casa abbiamo anche noi disabili e persone che necessitano di aiuto. E forse se ne ricordano gli stessi legislatori nel progettare spazi a misura di disabili, se colpiti personalmente da situazioni simili in famiglia. Per dire che il problema viene preso in considerazione quando arriva ai piani alti. La sosta selvaggia ha mille scuse: “è solo un minuto, tanto adesso non c’è nessuno, a quest’ora posso sostare…”.Il senso civico stradale ci definisce ancor di più di quello delle relazioni. E che dire della precedenza: vince il più veloce che magari guarda l’altro in cagnesco per non avergli permesso di passare per primo. L’educazione viene prima della conoscenza delle norme stradali, e chi si iscrive alla scuola guida, dovrebbe sostenere, prima dei test stradali, chilometri di schede per rilevarla. E della fila? Mai fatta in modo sistematico dalle nostre parti: si passa avanti con pretesti stupidi come quello di avere la macchina in divieto di sosta, la nonna claudicante, il figlio solo a casa, o, non da ultimo, il non sentirsi bene e, perché no, anche facendo finta di niente. Quello in cui eccelliamo è la teatralità con la quale occupiamo le nostre giornate. Il pettegolezzo, ne vogliamo parlare? Nessuno vede la sua trave ma la pagliuzza nell’occhio dell’altro. Parlare male degli altri è un vezzo che spopola. Per strada abbondano i capannelli a mo’ dei crocicchi come nei Promessi Sposi, quando Renzo, dopo la rivolta del pane a Milano, si ferma a parlare e a chiedere una locanda dove pernottare. Il pettegolezzo è un modo per scaricare tensioni, per spostare l’attenzione sugli altri e non occuparsi di se stessi, tanto non costa nulla predicare sul prossimo. Se pensassimo al tempo che sprechiamo nelle faccende altrui invece di guardare alle nostre, che magari fanno acqua da tutte le parti, sarebbe già questa una bella regola da rispettare. Il rispetto e l’educazione sono fondamentali per ogni tipo di rapporto, in ogni momento della nostra vita, con una piccola eccezione: quella di mettere gli altri, e soprattutto i più deboli, in una considerazione maggiore della nostra. Solo così possiamo rispettarci e trarre benefici dai nostri legami. L’educazione vera è un concetto a lungo termine, altrimenti non è educazione, e ci fa sprofondare nell’indifferenza, pericolo maggiore della stessa “non educazione”.

2 commenti:

enniovico ha detto...

Signora Filomena, pur non conoscendola desidero manifestarle gratitudine per le garbate, profonde e propositive constatazioni circa la "maleducazione" oggi purtroppo imperante. I suoi riferimenti mi sono apparsi così veri e palpabili che meglio non si possa dire; e ciò dovrebbero far riflettere tutti noi ed in particolare le Autorità costituite, ma ciò raramente succede! Come non rammaricarcene? Non la faccio lunga, complimenti e grazie, ennio.

filomena baratto ha detto...

Signor Ennio, la ringrazio per il commento, segno di sensibilità anche in chi legge.
Parlare di certi valori aiuta a comprendere e a vivere meglio la comunità. Noto con piacere un pubblico attento e partecipe e colgo l'occasione per ringraziare tutti voi che avete cominciato a leggermi tra queste righe seguendomi con interesse.