sabato 18 marzo 2017

Classe dirigente decapitata dalle inchieste

Bruno Discepolo
Fonte: Bruno Discepolo da Il Mattino 

La prima reazione, a caldo, è stata di incredulità mista ad angoscia. Poi, con il susseguirsi delle notizie sulla nuova inchiesta napoletana sugli appalti pubblici e la lettura dei primi brani di intercettazioni fornite dagli inquirenti, ha cominciato a fare capolino il dubbio, che sempre accompagna l'esplodere di scandali come questo; se ci si trovi di fronte all'ennesimo episodio che dimostra l'irrimediabilità di questo nostro sciagurato Paese o, al contrario, ad una delle tante iniziative avviate, con grande enfasi e risonanza nella pubblica opinione, ma destinata, non diversamente da molte che l'hanno preceduta nel tempo, a ridimensionarsi significativamente strada facendo. Sensazione acuita, lo dichiaro preliminarmente, dalla condizione personale di conoscere alcuni dei professionisti e quasi tutti i docenti universitari coinvolti, ed avendone sempre coltivato una stima ed un apprezzamento, al riparo da qualunque sospetto di possibile delinquenza. E dunque qui si pone la prima riflessione possibile, in una circostanza come questa: sono le persone di cui si parla effettivamente responsabili dei comportamenti gravi, come quelli descritti dai magistrati inquirenti, a dispetto della reputazione fin qui goduta e dello stesso ruolo occupato nell'ambito di istituzioni prestigiose, partire dalle università campane per finire alla Fondazione Banco di Napoli?
 
Oppure si tratta, alme no per un certo numero di loro, di persone tirate in ballo sulla scorta di elementi indiziari, di collegamenti del tutto relativi rispetto a fattispecie, avvenimenti e comportamenti individuali che, al contrario, sembrano sufficientemente suffragati da riscontri investigativi e, forse, anche prove documentali? L’ interrogativo non è peregrino, ricordando che nella stessa inchiesta era già finito, ora si può dire, del tutto ingiustificatamente, il presidente del Partito Democratico campano Stefano Graziano. L'interpretazione fornita dal procuratore Borrelli, in merito, che in soli tre mesi di indagine Graziano è stato ritenuto estraneo ai fatti, e restituito alla sua dignità, cosa assolutamente vera, omette di rimarcare che all'inizio dell'inchiesta lo stesso politico, e il suo partito, sono stati tirati in ballo sulla presunzione di accuse del tutto inconsistenti. Ma la verità è che, senza voler de legittimare il ruolo ed il lavoro della magistratura, a Napoli e in Campania, è da almeno un quarto di secolo che si sono susseguite indagini, spesso anche clamorose per il livello e la notorietà delle persone coinvolte, che hanno sottoposto, senza soluzione di continuità, istituzioni quali il Comune di Napoli o la Regione, le loro società partecipate, sindaci, presidenti, assessori, componenti di consigli di amministrazione, ad una serie di contestazioni con l'onere di doverne rispondere davanti alla giustizia penale, amministrativa, contabile. La quasi totalità delle accuse sono cadute, nel prosieguo delle indagini o nei processi. Ma questo non cancella i drammi vissuti da molte persone perbene, tecnici stimati, professionisti scrupolosi, docenti prestigiosi, prelevati nel cuore della notte, arrestati, e solo molti mesi dopo restituiti al loro lavoro e famiglie, senza nemmeno molte scuse. Sottolineo questo aspetto, fuori da ogni polemica in tema di giustizia o confini dell'azione penale (fermo restando che non si comprende la ragione di provvedimenti così drastici, come la detenzione, per le persone di cui si parla, per le quali sembra piuttosto un'anticipazione della pena più che un'esigenza investigativa) perché credo sia venuto il momento di riflettere su un aspetto tutt' altro che marginale: il rischio, cioè, che un'azione così invadente, ostinata e ripetuta nel tempo, da parte degli organi inquirenti, nei confronti di chi ha inteso prestare servizio alla collettività, occupando temporaneamente ruoli di responsabilità amministrativa, abbia finito col limitare l'apporto di una parte importante della società civile napoletana alla cosa pubblica. L'attuale disimpegno, la disillusione, l'allontanamento progressivo ma inesorabile di una fetta consistente, perfino di classe dirigente, dalle sorti dei nostri territori, non può dunque essere anche l'effetto di un intreccio perverso tra difficoltà di funzionamento e rappresentatività di molte istituzioni, crisi della politica e dei partiti, ma pure del rischio di una aspirazione ad una funzione suppletiva da parte della stessa magistratura? Detto questo, resta la constatazione oggettiva, quale sembra emergere dall'indagine in corso, della vulnerabilità del sistema di assegnazione degli appalti pubblici, in Campania non diversamente da qualunque altra regione italiana. Se qualcuno si illude che i casi venuti alla luce rappresentino episodi isolati del malaffare che troppo spesso accompagna l'intera gestione delle procedure di selezione dei soggetti affidatari della progettazione e realizzazione di opere pubbliche, è lontano dalla realtà. L'Italia ha da meno di un anno riformato il sistema, con l'introduzione di un nuovo Codice degli Appalti, per il quale è già in corso una revisione, attraverso l'approvazione del cosiddetto «correttivo». Si è scelta la strada di estendere ancora di più un criterio qualitativo e discrezionale, con l'offerta economicamente più vantaggiosa, ed eliminando il massimo ribasso, immaginando di poter applicare questa procedura con rigore, trasparenza e imparzialità. E cercando di limitare i possibili danni con nuove modalità di nomina dei mèmbri delle commissioni aggiudicatrici, per il tramite della designazione da parte dell'Autorità anticorruzione. Non ci si può far altro che augurarsi che la scommessa fatta, in termini di affidamento su un sistema moderno che non voglia rinunciare al diritto di scegliere per il meglio, non risulti penalizzante in presenza di incrostazioni, carenze, opacità di comportamenti o complicità che caratterizzano, nonostante tutto, molte amministrazioni pubbliche, non meno che ambienti imprenditoriali o professionali.

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