di Luigi Poi
Massa Lubrense - Questo nuovo romanzo di Raffaele Lauro, “Don Alfonso 1890 - Salvatore Di Giacomo e Sant’Agata sui Due Golfi”, mi tocca molto per diverse ragioni: l’antica e ricambiata amicizia che mi lega all’Autore, vicino affettivamente alla nostra comunità santagatese, risalente agli anni scolastici; una rinnovata ed entusiastica rappresentazione delle bellezze naturalistiche del nostro paese, dopo i preziosi riferimenti storici presenti in un precedente romanzo, “Sorrento The Romance”; la descrizione puntuale dell’evoluzione, sociale ed economica, di Sant’Agata sui Due Golfi, negli ultimi due secoli; la ricostruzione, appassionata e corretta, della storia imprenditoriale della mia famiglia, a partire dal fondatore, il mio nonno materno, don Alfonso Costanzo Iaccarino; il cenno affettuoso all’intraprendenza alberghiera di mia madre Anna e, non da ultimo, la celebrazione ammirata del successo professionale di mio cugino, lo chef don Alfonso Iaccarino, collaborato, in maniera straordinaria, dalla moglie Livia e dai figli, Ernesto e Mario, dei riconoscimenti internazionali conseguiti e del loro gioiello, il Don Alfonso 1890, appartenente, ormai, di diritto, al gotha della ristorazione mondiale. Voglio dire pubblicamente grazie a Raffaele per come ha saputo, con passione, con coerenza e, se mi è consentito, con amore, dapprima a livello istituzionale e politico, poi a livello culturale, esaltare, consacrare e difendere i nostri valori, i valori di una civiltà antica, che affonda le sue radici nei fondamenti greco-romani dell’Occidente, e di una civiltà contemporanea, collegata all’attività turistica, fatta di arte dell’accoglienza dei nostri ospiti e di responsabile tutela delle nostre risorse, naturali e storiche. Questo libro non costituisce un piccolo saggio su Sant’Agata sui Due Golfi, ma un imponente romanzo, frutto anche di invenzione narrativa, storicamente fondata. Per questo dovrà essere non solo letto, anche a livello scolastico, ma diffuso e custodito, negli anni a venire, come una prova, ben riuscita, della volontà di strappare, all’oblio del tempo, la storia di persone eccezionali, come mio nonno e i miei cugini, che molto hanno dato e molto continuano a dare alla loro terra di origine, creando opportunità, cultura e lavoro, per tutti, senza rinchiudersi in sterili egoismi o compiaciute autoreferenzialità.
L’Autore è riuscito anche a strappare all’oblio i solidi legami di importanti personaggi storici con il nostro borgo di Sant’Agata, tema da sempre oggetto delle mie ricerche e dei miei personali interessi culturali. Di questo gli sono particolarmente grato, come della seguente conversazione, che verte, appunto, sui personaggi storici, presenti nel romanzo.
Come nelle opere classiche della letteratura francese, russa o angloamericana, fai spesso ricorso allo strumento del convivio, del pranzo o della cena, come momento di aggregazione familiare o sociale, per mettere a confronto e analizzare i personaggi storici, che accompagnano o affiancano i protagonisti del romanzo. Perché?
Più che una tecnica narrativa, in questo romanzo “gastronomico”, che celebra la cucina mediterranea, i grandi chef e alcuni celebri templi della ristorazione mondiale, frequentati da personaggi storici, non poteva essere che la tavola il luogo ideale per scendere nei dettagli delle pietanze o dei vini, nonché dei gusti di avventori famosi. D’altro canto, scrivere del legame di Salvatore Di Giacomo con Sant’Agata sui Due Golfi e con la pensione-ristorante Iaccarino, senza citare la sua passione per i piatti genuini della cucina di don Alfonso Costanzo, sarebbe stato omissivo e antistorico, in quanto il grande poeta era notoriamente un gourmet e un appassionato di alcune ricette di tuo nonno.
Il convivio, tuttavia, oltre che assumere una finalità di esemplificazione culinaria, a me sembra anche un raffinato escamotage per far dialogare, tra loro, i personaggi, per mettere a fuoco i loro giudizi, le loro idee, i loro rapporti, le loro convergenze o le loro divergenze di opinione, in relazione ai protagonisti, agli eventi storici vissuti o a fatti della loro quotidianità. Trascurando i convivi minori, nella prima parte del romanzo, ne vengono descritti due, assolutamente “centrali” all’azione narrativa, storicamente verosimili ed entrambi coessenziali ai contenuti del romanzo. Il primo si svolge, sempre alla Pensione Iaccarino, nel 1908, e il secondo, dodici anni dopo, nel 1920.
Potremmo definire il primo, il pranzo “galeotto”, quello che porta Di Giacomo alla conoscenza di Sant’Agata sui Due Golfi, della Pensione Iaccarino e della cucina di don Alfonso Costanzo. Preludio per scegliere l’anno successivo, nel 1909, come luogo di soggiorno estivo, non più l’amata Agerola, ma Sant’Agata. Il pranzo viene ambientato a fine agosto del 1808, con la partecipazione di altri due personaggi storici, amici di Di Giacomo e innamorati di Agerola: il drammaturgo, giornalista, paroliere di canzoni della Piedigrotta, Roberto Bracco, e il compositore Francesco Cilea, la cui più celebre opera, “Adriana Lecouvreur”, era stata rappresentata, proprio l’anno precedente, il 1907, al Teatro alla Scala di Milano, sotto la direzione di Arturo Toscanini. Di Giacomo e Bracco erano stati, nei loro esordi, colleghi di giornalismo e affermati parolieri delle canzoni di Piedigrotta, ammirati, per le loro canzoni, dal padrone di casa, don Alfonso Costanzo. Entrambi legati al circolo culturale napoletano del filosofo e storico Benedetto Croce.
E il secondo?
Il secondo pranzo viene “combinato” proprio da don Alfonso Costanzo, nel suo ristorante, nel 1920, approfittando di un contemporaneo soggiorno a Sant’Agata di Di Giacomo e dello scrittore austro-scozzese Norman Douglas, nonché della disponibilità del suo amico e cantore, il poeta vernacolare sorrentino, Saltovar, nome d’arte dell’imprenditore Silvio Salvatore Gargiulo. Di Giacomo e Douglas, entrambi già famosi, entrambi clienti affezionati di don Alfonso Costanzo, non si trovano d’accordo su niente, tranne sulla bellezza della Terra delle Sirene e sul loro attaccamento a Sant’Agata. Douglas aveva scritto, appunto, proprio a Sant’Agata, nella Pensione Petagna, dieci anni prima circa, il suo capolavoro, “Siren Land”, pubblicato a Londra, senza successo e agli inizi misconosciuto, divenuto, poi, un classico della letteratura da viaggio anglosassone.
Che pietanze preparò, per gli illustri ospiti, mio nonno? Quali furono i menù dei due storici convivi?
Lo lascerei scoprire ai lettori. Non mancarono, comunque, gli immortali strascinati, i cannelloni alla sorrentina, nella ricetta inventata da tuo nonno.
Anche nella seconda parte trionfano i pranzi, le cene e una celebre festa di compleanno, che i miei cugini, Alfonso e Livia, si portano incisa, nella mente e nel cuore.
La festa organizzata per il compleanno della stella mondiale della canzone francese, Mireille Mathieu, al Don Alfonso 1890, ispirata da mio fratello Nello, amico della cantante e di don Alfonso e Livia, rappresentò un momento “clou” della conquistata fama, a livello internazionale, di don Alfonso e del suo ristorante. La torta, preparata da tuo cugino e dalla moglie, sul tema della celebre canzone la “Vie en rose”, con una data, 1945, e un richiamo ad Édith Piaf, autrice delle parole e insuperata interprete della stessa, musicata, appunto nel 1945, da Louis Guglielmi (Louiguy), commosse fino alle lacrime la grande artista, la quale, per gratitudine, la volle subito cantare e dedicare ai padroni di casa. Un momento di bellezza assoluta!
Non possiamo concludere questa interessante conversazione, senza almeno aver citato il pranzo campestre, organizzato a Le Peracciole, da Livia, in onore di tuo fratello Aniello (Nello) Lauro, un altro maestro dell’arte dell’accoglienza.
Tutta la seconda parte del romanzo, titolata, non a caso, Le Peracciole, la tenuta agricola, alla Punta della Campanella, è occupata da un dialogo ideale tra Alfonso e Nello, dal quale emergono le rispettive personalità, le loro storie di successo, la loro storica amicizia. Momento centrale risulta il lunch, a tre, tra Alfonso, Livia e Nello, preparato, a sorpresa, dalla grande organizzatrice. Questo lunch, per la cornice di bellezza naturalistica, in cui è collocato, per il legame affettivo tra i tre partecipanti, per la delicatezza delle memorie richiamate e, non da ultimo, per la raffinatezza, anche estetica, del tavolo arredato, rappresenta un momento di rara armonia tra la natura e le persone, tra i pensieri espressi e i sentimenti sottesi, tra i quali il più prezioso, l’amicizia.
La loro amicizia, Raffaele, come anche la nostra antica amicizia!
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