venerdì 25 novembre 2016

Donne e violenza


di Filomena Baratto

Vico Equense - Ultimamente la parola donne non resta mai da sola, è accompagnata da un’altra sua compagna da sempre: violenza. Donne e violenza oggi è un binomio inscindibile. E non finiamo di parlarne che già accadono altri casi. Parlarne dovrebbe servire a risvegliare gli animi delle donne a denunciare le violenze, ma questo accade raramente. La donna vive in un retaggio maschile, magari dovrebbe denunciare chi poi la mantiene, denunciare il padre dei suoi figli, reagire quando potrebbe sopportare, come se resistere fosse la prova del suo amore. Sottili fili di legami e pregiudizi innescano meccanismi contorti che se si volessero dipanare sarebbero molto più dolorosi, per cui si cede alla sopportazione. La verità è che poi la violenza arriva quando manco te l’aspetti, quando credi di avercela fatta o credi di essere diventata tanto forte da reagire. E quanti più casi accadono, più si incorre nella paura. Secondo Georges Duby le donne non hanno storia se non quella scritta dagli uomini, loro osservatori. Gli antichi dicevano:” Sono elemento freddo e stagnante, quando l’uomo arde e agisce”.


E la storia con le sue personalità, ovviamente tutte maschili, con una cultura maschilista, ha utilizzato il sapere per addomesticare le donne, renderle a suo uso e consumo, intervenire quando non risultavano obbedienti e da qui inventarsi tutte le strategie per tenerle sotto un controllo. Sì, perché l’uomo colto, rassicurante, di mondo, alla prima perdita di controllo nei confronti della donna, reagisce più come un primate che come homo sapiens. La prova? Balzac, per esempio, affermava che la donna è una schiava che bisogna saper mettere su un trono. Gli uomini, continua Duby, celebrano la Musa, l’Angelo, la Madonna ed esaminano le sue attitudini a ottenere un diploma a puttana. Rousseau, nell’Emilio, parlando delle donne dice: “Piacere agli uomini, essere loro utili, farsene amare, onorare, allevarli da giovani, curarli da adulti, consigliarli, consolarli, rendere loro la vita gradevole e dolce, ecco i doveri delle donne di tutti i tempi, e ciò che si deve insegnare loro fin dall’infanzia”. E così accade che, per quanto emancipata, la donna risenta di questa secolare tradizione. Se vuol dimostrare di essere capace, deve a maggior ragione dimostrare di essere ubbidiente, accondiscendente. Se volessimo tracciare la storia delle donne dovremmo parlare di quando esse assumono parola e la loro parola sin dall’antichità è per parlare delle ossessioni degli uomini. Così a cominciare dalla Lisistrata di Aristofane per finire alla Nora di Ibsen, le donne manifestano la paura che hanno degli uomini. Ibsen afferma «Ci sono due tipi di leggi morali, due tipi di coscienze, una in un uomo e un'altra completamente differente in una donna. L'una non può comprendere l'altra; ma nelle questioni pratiche della vita, la donna è giudicata dalle leggi degli uomini, come se non fosse una donna, ma un uomo».Tutta la storia delle donne viene scritta da uomini. Questo nel lontano 1879, anno della commedia, ma ancora oggi è questo il pensiero nella nostra società. Tutto l’operato della donna è giudicato da un mondo maschile, che detiene ancora tre poteri forti definiti da Duby i cosiddetti “santuari maschili” ovvero il potere politico, religioso e militare. La stessa Jane Austen affermava che la storia non le interessava affatto visto che non ci vedeva nulla di buono. Essa è fatta di litigi, di papi e di re, guerre e pestilenze in ogni pagina, uomini che non valgono granchè, e quasi niente donne, questa una cosa fastidiosissima!” La società intera vuole abbattere la violenza sulle donne, ma mai che sia sorto un comitato maschile per la causa, mai che uomini si siano interessati di questo aspetto, che non siano state solo belle parole di circostanza, bei libri scritti, rimasti tali, manifestazioni, magari strumentalizzate a fini politici. Quando un aspetto della società non lo si comprende alla radice, non lo si studia, non verrà mai risolto. Conosco uomini che sanno di smancerie con le proprie donne, ma nel privato sanno essere veri aguzzini. La violenza nasce da ataviche convinzioni che la donna, per quanto emancipata, resta sempre sotto il potere maschile. Un uomo che può innalzarti fino al trono, come vuole Balzac, poi con lo stesso disincanto può ucciderti se ferisci quel lato del suo io che non accetta di essere rifiutato o messo a lato. Troppi aspetti non risolti volutamente. La donna sembra più un territorio colonizzato che una terra libera. L’unico mezzo che essa ha di ferire l’uomo è quello di negarsi, come Lisistrata e le sue compagne che scioperarono in amore per indurre gli uomini a dare più tempo alla famiglia ponendo fine alla guerra. Non basta opporsi alla violenza contro le donne come principio, occorre cambiare una mentalità, scuotersi di dosso secoli di pregiudizi. Giustificare la violenza come un momento di perdita della ragione, non regge. Ma è anche vero che in amore, vige la legge del tutto o niente, e la possessione dell’altro diventa un inferno. L’amore non è mai dipendenza, sottomissione o accanimento o ancora voglia di cambiare l’altro. Si può amare quando siamo padroni di noi stessi e l’amore non ammette violenza. Ed è così che si scambia l’amore per una missione. Sopportare, magari far finta di niente, o semplicemente assuefarsi alla vita che l’altro ci offre, sono queste le fasi che portano un rapporto a diventare un inferno. Altro aspetto la giustizia, che, fatta soprattutto da uomini, non sempre è giusta, ma fa sentire questi secoli di pregiudizi anche nei suoi verdetti. E così la stessa violenza si è evoluta, oggi ti cambia l’identità con l’acido anche se ti risparmia la vita, ma a quale prezzo? Chi ti dà uno schiaffo arriva a fare altro. Donne deturpate, sfregiate, massacrate come se fossero giocattoli hanno bisogno di giustizia, di sentirsi protette. Già in piccole schermaglie si notano i germi della violenza, quando una parola fuori posto offende in modo profondo e indelebile. Uomini che si sentono forti per riuscire con la violenza ad annientare e mentre lo fanno hanno il coraggio di dire:”Voglio vedere adesso come riderai.” E se questa per il violento è una sciocchezza o peggio, “una cavolata”, ci sono seri problemi nella distinzione del bene dal male. La violenza, d’altra parte, non è che debolezza, mancanza di forza e di intelligenza. La violenza è sfregiare, uccidere, offendere, sottomettere, togliere la vita. Se avremo la volontà di denunciare quello che ci capita, in tempi utili, senza dare ulteriori possibilità credendo che tutto possa finire, allora scegliamo la vita. Non la lasciamo al caso, credendo che l’altro capisca: capire è un processo che il violento non contempla, conosce solo la legge del più forte. Ma i più forti sono quelli che pensano prima di agire e agiscono senza offendere, rispettando il prossimo, uomo o donna che sia.

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