martedì 29 novembre 2016

Malattia

di Filomena Baratto 

Vico Equense - La malattia è un mondo sconosciuto fino a quando non giunge a noi. Vogliamo allontanarla il più possibile per credere di poterla sfuggire o per avere del nostro corpo una considerazione sovrannaturale, vuoi per sentirci in forze, vuoi per essere ancora giovani, e forse per rimandarne il momento visto che il futuro si assottiglia. Nessuno è preparato alla malattia e pochi sono i pazienti integerrimi. Si crede che non pensandoci, non giunga mai, così come si può essere molto attenti e inaspettatamente venirci incontro. Io sono una pessima paziente, nel senso che non prendo medicine, non mi curo se ho qualche malanno, devo proprio essere trascinata a fare una visita e se ci vado muoio dalla paura. Contrariamente alla mia ipocondria, mia madre era una paziente esemplare, non trascurava alcun sintomo e, con tutta la solerzia che si trovava, il male l’ha portata via in due mesi. Il nostro involucro, il fisico, purtroppo si ammala e noi non accettiamo di essere schiavi del corpo. Viviamo come se fossimo eterni, non concepiamo un tempo finito in cui siamo collocati ed è per questo che non abbiamo la concezione della malattia. Essa ci pone davanti molti interrogativi, gli stessi che si ponevano gli antichi, quando la sua presenza faceva temere la morte. Per gli antichi la malattia era un castigo divino, cosa creduta per lungo tempo. Ma Cicerone, dalle pagine delle sue “Tusculanae disputationes” , un dialogo tra un Magister e un Auditor, che predispone alla discussione filosofica, parla del disprezzo della morte. Come quando siamo nati, afferma Cicerone, non ricordiamo nulla, così non soffriremo nella morte. Per questo la malattia viene vista come un preludio di qualcosa che non possiamo sconfiggere.
 
L’uomo vive con questa spada di Damocle sulla testa: la paura della morte. Egli sa di doverla assorbire nella vita ma, temendola e per esorcizzarla, ne scaccia anche la malattia, di cui prende atto solo quando essa si presenta. L’anima è immortale, non può essere considerata un male. La filosofia contribuisce a tenere a bada le passioni dando all’anima la serenità di affrontare il dolore. La malattia ci mette davanti una realtà che non possiamo cambiare, che subiamo e dobbiamo rafforzarci per sostenerla. L’unica forza che ci salva è quella dentro di noi, con un viaggio nuovo e per la prima volta ci riconosciamo per quello che siamo. Le emozioni, le paure, le speranze si colorano di nuove sfumature, siamo capaci di essere più buoni e ragionevoli e l’unica cosa che ci importa in questi momenti è vivere. Tutto il resto passa in secondo piano. La vita, che ci sembrava una cosa scontata, diventa qualcosa di straordinario. Virginia Woolf rivendica le opportunità della malattia affermando che certe verità rimarrebbero per sempre escluse alla conoscenza umana. Thomas Mann affronta la malattia nel suo romanzo “La montagna incantata” vista come un allontanamento dal mondo produttivo e creativo: “La malattia è la forma impudica della vita. E la vita a sua volta e’ forse soltanto una malattia infettiva della materia, che ti dà libertà”. La malattia è un modo per capire la propria esistenza nel momento in cui ci allontaniamo dal resto del mondo. Per Kafka, che la prende in esame ne La Metamorfosi, è un disagio interiore e di fallimento e di conseguenza c’è l’esigenza di vedersi reintegrato nel mondo. Malattia come spezzettamento dell’io in Pirandello, contro il mondo che ci vede diversi da noi, una difesa nella società moderna che si pone insicura e a più facce. Ed è per analizzare la propria malattia, in questo caso quella del fumo, che Zeno Cosini, nella “Coscienza di Zeno”, va dallo psicologo per farsi aiutare. Qui Italo Svevo, autore del romanzo, adotta la malattia come pretesto per analizzarsi e andare a ritroso alla ricerca di ricordi e capire il presente, scoprendo la paura di crescere e di ritrovarsi subito vecchio. Metafore di vita che nascono da un disagio, da un osservatorio particolare, preludio alla malattia che, per essere sconfitta, deve essere supportata dell’anima. Come possiamo dividere la malattia del corpo da quella dell’anima? Sono codici di lettura del nostro essere che non vanno staccati ma presi come momento in cui l’uomo prende atto delle sue debolezze, delle sue paure, del sua genialità e della sua arte. Malattia come momento per riconoscersi, attraverso i cambiamenti del fisico e con esso anche lo spirito, in un rapporto a volte conflittuale, a volte difficile e anche inaccettabile. L’unica forza è quell’anello di unione che ci riporta agli altri, ad essere noi tutti comuni mortali. La malattia è la precarietà della vita e ne prendiamo atto solo quando la salute viene meno. Malattia come paura di vivere e di affrontare le cose, di responsabilizzarsi e di crescere, anche quando non ci riconosciamo per quello che diventiamo. La guarigione richiede corpo e spirito in collaborazione, solitudine e relazione, conoscenza e accettazione di sé e degli altri. La salute è il trionfo su noi stessi, senza escludere il prossimo nel processo di miglioramento. La morte è quella che viviamo degli altri, della nostra non bisogna preoccuparsene, saranno gli altri a farlo, ma essa deve darci mille motivi per vivere.

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