venerdì 15 marzo 2024

Lo steccato

di Filomena Baratto

Sul mio pianerottolo, a destra, gli operai hanno posto uno steccato con tre assi e quattro chiodi per arginare un muro che va rifatto. Tanto è bastato per riportarmi ai miei disegni di steccati di quando ero scolara. Chi di noi non si è trovato a disegnare uno steccato alla fine della casa sul foglio, come un’appendice su cui poggiarci fiori, rami, persone affacciate. Assi affossate nel terreno per delimitare un solco, uno spazio, un confine. Ogni mia casetta ne aveva uno, disegnato con cura. A volte erano approssimativi, altre solo accennati, ma sempre presenti. Un dovere aggiungerlo là dove non sai cos’altro mettere. Cambia in base al legno, alla forma, all'uso che se ne fa. Mi piacciono quelli un po’ screpolati, abbattuti, divelti, hanno sembianze umane nelle nostre varie condizioni. Dicono ciò che hanno subito, quando sono stati costruiti, che cosa hanno attraversato. Un paesaggio, dal vivo o sul foglio, acquista valore se contiene uno steccato. Si percepisce la presenza dell'uomo in quel miscuglio di naturale e antropico. Un mio dipinto ne mostra uno tra massi laterali a dividere due parti di un prato. Mi è costato molto limare quei sassi intorno, uno sull'altro e dare il colore giusto al legno. In un dipinto che ho prodotto in Cornovaglia, invece, ho perso più tempo a dipingere lo steccato che a rifinire i fiori. La difficoltà era dosare la giusta luce per proiettare la reale ora del giorno. Ma il fascino dello steccato risale alla mia infanzia: ce n’erano tanti nei campi e lungo i sentieri che portavano ai monti. Una volta mio nonno ne costruì uno piccolo sul sentiero del bosco: serviva ad affacciarmi e ammirare il mare dall’alto. A guardare giù avevo le vertigini al pensiero che, se non avesse retto, mi sarei trovata giù.

 

Altro ricordo indelebile le mie passeggiate, da bambina, per i sentieri intorno alla casa dei nonni. Mi intrattenevo spesso a giocare accanto agli steccati, avevo maggiori possibilità di destreggiarmi. Altre volte rovistavo il legno scoprendo corridoi di formiche, tane, file d’insetti, gocce di resina, buche in cui appoggiavo i polpastrelli per capirne la profondità. Altre volte, con un punteruolo incidevo nel legno rappresentando quello che vedevo nei campi. Raramente l'ho visto in veste di divieto, come sul mio pianerottolo. Eppure molti hanno questa funzione. In questo caso indica un pericolo da evitare, mentre altre volte un confine da non varcare. Il mio steccato è un modo affettuoso di accogliere e preservare. Ogni altra sua funzione non la sento mia.

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