lunedì 29 luglio 2019

Accorsi: «Ragazzi studiate» Richelmy: «II cinema è sfida»

Stefano Accorsi
di Oscar Cosulich da Il Mattino

Vico Equense - Ieri è arrivato a Vico Equense Stefano Accorsi, padrino d'eccezione del Social World Festival e ha incontrato un centinaio di ragazzi in una master-class dove ha toccato diversi aspetti della sua professione, premettendo che la parola chiave per riuscire è «studiare». «Bisogna studiare, essere curiosi, ascoltare e imparare, è importante avere sempre nuovi stimoli - dice infatti l'attore perché bisogna continuare a imparare. Non esiste la ricetta del successo con un film: mentre la televisione è maggiormente un gioco di squadra, nel cinema c'è ancora il mistero su come creare la magia». Sul rapporto coi registi, invece, Accorsi sottolinea quanto sia «importante l'ascolto. Il regista deve avere sempre un'apertura. Se si lavora con persone di talento è necessario fare delle domande. Bisogna sempre "complicarsi" la vita, perché è poi dalla soluzione dei problemi che vengono fuori le migliori idee creative». Anche per lui, come per ogni attore, il terrore è la mancanza di ingaggi, quando il telefono non squilla, perché «l'assenza di chiamate è angosciante. Sono stato in Francia nove anni e mi svegliavo di notte piangendo. Il segreto sta nel non scoraggiarsi e crederci sempre. Sperimentare e creare, approfittare di quel tempo per creare altro. Quando ho un'idea che reputo interessante, cerco di svilupparla. Non si può aspettare e basta, bisogna essere attivi». Oggi invece a Vico sarà la serata di Lorenzo Richelmy, premiato come attore rivelazione dell'anno per aver recitato nei film «Ride» di Jacopo Rondinelli, «Una vita spericolata» di Marco Ponti e «Dolceroma» di Fabio Resinaro. Un ritorno in Italia alla grande. «In effetti, dopo essere stato tré anni fuori dal nostro Paese, girando all'estero i venti episodi di "Marco Polo" per Netflix (quando Netflix da noi ancora non era arrivato), in Italia si erano un po' dimenticati di me. Il mio ritorno è stato coi fratelli Taviani per "Una questione privata" e poi ci sono stati i tre film per cui vengo premiato qui a Vico e che mi piace siano ricordati insieme». «Indipendentemente da come possano essere giudicati - spiega l'attore - sono tré esempi, molto diversi tra loro, di film lontanissimi dai cliché dei soliti prodotti italiani e sono felicissimo di averli interpretati.
 
Questo è un momento particolare per il nostro cinema: gli incassi latitano e quindi è giusto e necessario tentare vie diverse, uscire dalla norma. Abbiamo visto con opere come "Lo chiamavano Jeeg Robot", "Veloce come il vento", "II primo rè" e "La ragazza nella nebbia", che siamo ancora capaci di affrontare il "genere", con film che poi incassano più di quelli pensati per un pubblico più vasto. Poi le diverse piattaforme ci offrono possibilità illimitate di trascendere anche i limiti geografici». Il ragionare sulle nuove opportunità che offre l'universo digitai è ampio: «Ho appena girato in Trentino la serie "Sanctuary"; è un super noir, un thriller psicologico ambientato in una casa di rieducazione mentale. Ero in Italia, praticamente a casa, ma si recitava in una serie che per metà era parlata in svedese, perché una delle protagoniste è Josefin Asplund e il resto in inglese, con la presenza di attori come Matthew Modine e Barbara Marten. Difficile a quel punto pensare di fossilizzarsi ancora sul prodotto strettamente "locale"». Ma comunque alcune serie italiane hanno successo anche all'estero, non trova? «Certamente, io amo moltissimo "Gomorra" e "Suburra", però poi penso agli spagnoli che hanno fatto "La casa di carta" e vedo che loro sono un passo avanti a noi, perché con quella serie hanno superato i cliché dell'immaginario ispanico. Sono andati oltre e si sono imposti in tutto il mondo con una fiction girata in spagnolo». Dopo «Sanctuary», Richelmy è già al lavoro su nuovi progetti. «Scaramanticamente è ancora presto per parlarne, ma sono impegnato nella scrittura di un progetto che dovrebbe vedere la luce nel 2020», dice. E poi aggiunge che «si tratta di una serie tv di cui ambisco diventare lo "showrunner ", cioè quella figura che in Italia ancora non esiste, ma che è alla base di tutte le migliori serie». Quindi l'attore sta anche scrivendo, e per di più per una serie in cui reciterà. Ma non pensa di dirigerla: «No, è un "one man show", ma non intendo avventurarmi anche nel campo della regia, perché c'è già moltissimo da fare così». E infatti Richelmy sta scrivendo sia in italiano che in inglese: «Sto realizzando una doppia versione. Comunque il nodo che devo sciogliere è pro- ðã³î questo: decidere se voglio parlare meno di cose mie per rivolgermi a un pubblico più ampio, oppure lanciarmi di più sul personale, pensando all'Italia. Ancora non ho scelto».

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