giovedì 13 luglio 2023

La lite continua De Luca-Schlein Il Pd si ritrova a Napoli, lo schiaffo del governatore

Il presidente della Campania, invitato, neppure risponde

di Simona Brandolini da Il Corriere del Mezzogiorno 

«Con tutte le cose che abbiamo in comune, l'unione fra noi non sarebbe perfetta?», canta Daniele Silvestri citato da Elly Schlein quando ha spiegato ai suoi dirigenti che oltre spifferi e correnti sono più le cose in comune all'interno del Pd che quelle che li dividono. Varrà per tutti, dalle parti del Nazareno, tranne che per Vincenzo De Luca. La guerra dei Roses non lascia spazio a ricuciture. La quantità di veleno profuso dal presidente campano nei confronti della segretaria dem è ben oltre la soglia curata con un antidoto. Nel giro di pochi mesi dalle critiche s'è passati ai dispetti e all'insulto libero. Con l'ultima girata di spalle del presidente che, invitato alla due giorni napoletana contro l'autonomia differenziata in programma domani e dopodomani, non ha neanche risposto. E così nel programma ufficiale del Nazareno l'unico assente è proprio il padrone di casa. Che, guarda caso, piazza un consiglio regionale nelle stesse ore della manifestazione. Non che, a chi è avvezzo alle cose democratiche, sia risultata una cosa inaspettata. Per De Luca la leader dem è un nemico, non un avversario. Per Schlein, invece, il governatore è il cacicco più cacicco di tutti. E il nuovo Pd gli sta facendo terra bruciata intorno.

 

Le frizioni sono cominciate durante le primarie. Quando in Campania a causa della solita moltiplicazione delle tessere e degli iscritti, la maggioranza deluchian-bonacciniana finisce nel mirino dei competitor , compresa Schlein. Alla prima uscita pubblica la segretaria spara a zero contro i «signori delle tessere». E tutti pensano subito che l'attacco sia destinato proprio al governatore. Che ripaga della stessa moneta. È il primo aprile quando ad un'assemblea provinciale del Pd, De Luca se ne esce con l'ormai celebre frase: «Vengo da un grande e glorioso partito in cui c'erano uomini che si chiamavano Enrico Berlinguer, Amendola, Nilde Iotti, Terracini. Oggi abbiamo un po' di arte povera». È la dichiarazione di guerra preventiva al nuovo gruppo dirigente. La risposta di Schlein arriva il giorno successivo: il partito campano, fino a quel momento appaltato da De Luca, viene commissariato. A Napoli arriva Antonio Misiani, duro come l'arenaria ha scritto Goffredo Buccini, ma intenzionato a parlare con il presidente. Ed è qui che il Pd sbatte il muso una prima volta. De Luca non ha intenzione di fare nessun passo indietro. Continua a brandire il terzo mandato come una spada contro i suoi e far intendere che con o senza il Pd si candiderà lo stesso. Schlein a domanda risponde: «Sono contraria». Arriva il ceffone definitivo: il figlio Piero viene declassato. È la goccia che fa traboccare il vaso. Va male anche il faccia a faccia tra i due. Da quel momento, in un crescendo rossiniano, il governatore se la prende con l'armocromista della segretaria («imbarazzante pagare 300 euro all'ora per far scegliere il colore»), con Schlein («la segretaria è al terzo mandato, è una cacicca ante litteram»), con Misiani («cacicco anche lui, di mandati ne ha cinque»). Denuncia che in Campania «il partito è in ostaggio» e che il commissariamento è «un atto di delinquenza politica». Anche il terreno comune della battaglia contro l'autonomia differenziata diventa un fronte aperto. La due giorni annunciata, poi saltata, infine organizzata a Napoli dal Nazareno è «una piccola mattinata propagandistica che non serve a nulla». Infatti nel programma il suo nome scompare.

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