domenica 30 ottobre 2011

Com’è lontana la Leopolda

Fonte: Paolo Macry da il Corriere del Mezzogiorno

C’è chi, da sponde opposte, rimprovera a questo giornale di parlare troppo e troppo criticamente di de Magistris e di Caldoro. Sarà pure vero, ma di cos’altro si può parlare a Napoli? Qui, mentre la destra vivacchia come al solito senza grandi colpi d’ala, anche il Pd sembra essersi ritirato dall’arena politica. È scomparso. Mostra una perdurante incapacità di riprendersi dal fallimento della sua lunga stagione amministrativa. Il fenomeno è tanto più degno di attenzione, perché, nel frattempo, il partito attraversa invece una fase di grande effervescenza sul piano nazionale. E non mi riferisco ovviamente al cronico scontro politicista tra i Grandi Vecchi post-comunisti o post-democristiani (ammesso che siano grandi), ma alla vivace battaglia delle idee agitata dai vari Renzi, Zingaretti, Lioni, eccetera. Gente che si rifiuta di rinchiudere il riformismo italiano nella gabbia di una classe dirigente democrat, la quale non diventa mai opposizione propositiva, continua a diffidare del mercato, è schiava dei veti sindacali, utilizza furbescamente le procure, si aggrappa al solito antiberlusconismo. Sono tutt’altri i messaggi che vengono dai nuovi spiritelli del Pd: sì alle richieste della Bce, flexsecurity, nuove pensioni, nuovo fisco, nuovo welfare, abolizione del valore legale della laurea, eccetera. Si tratta di opinioni e proposte che, semplicemente, vogliono saltare il fosso del conservatorismo di sinistra e che scommettono su un’opinione pubblica consapevole, razionale, energica. E refrattaria — non foss’altro che per motivi di età — alle cupezze decliniste.


Ebbene, basta scorrere i nomi per rendersi conto che, fra i seguaci di Renzi, fra gli uomini vicini a Zingaretti, fra i trentenni del T-Party, i napoletani e i meridionali sono pressoché assenti. Come se un riformismo moderno — e non la solita claudicante socialdemocrazia — fosse vietato a sud del Garigliano. E salta agli occhi, in questi giorni, l’abisso che separa il meeting toscano della Leopolda dal meeting di Finalmente Sud!, in corso alla Mostra d’Oltremare. A Firenze, centinaia di nomi spesso ignoti, che cercano di strappare al suo misoneismo una sinistra ancorata al XX secolo. A Napoli, il duo Bersani-Bindi, ovvero i campioni di una politica tuttora convinta che il problema sia come vincere le elezioni e non come governare la crisi. Da una parte, un caleidoscopio di proposte spiazzanti, moderne, eretiche, rivolte al paese e non soltanto agli impiegati pubblici e ai pensionati. Dall’altra, l’invito un po’ greve a «non scalciare» e l’idea farraginosa e vagamente paternalistica di cooperative giovanili promosse dall’alto e protette dallo Stato. Certo è che il ritardo politico e culturale del Pd napoletano è vistoso. In fondo, non avendo molto da perdere dopo le sconfitte alla Regione e al Comune, la sinistra riformista avrebbe potuto cogliere il vento che spira dai nuovi democrat del Centro-Nord e rompere finalmente con quella tradizione assistenziale e centralistica che ha sempre impedito al Sud di cercare nuove strade. Al contrario, i suoi dirigenti locali — anche i migliori — appaiono invischiati in un’antica subalternità territoriale, spaventati ieri da Bossi e oggi da Renzi, incapaci di rompere schemi mentali, ideologie e patronage. Sono politicamente corretti e rispettosamente si rifugiano nel grembo edipico del Comitato centrale. Che però non esiste più.

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