venerdì 7 agosto 2015

Gaetano Filangieri a Vico Equense

di Filomena Baratto*

Vico Equense - Chissà quante volte abbiamo sentito una strada titolata con questo nome, a Napoli e provincia e forse anche altrove, e un nome non dice nulla senza conoscere la vita del defunto e la motivazione per aver titolato la strada proprio con quel nome. Via Gaetano Filangieri, a Vico, è una strada per così dire “illuminista”, dedicata a un grande giurista e filosofo del 700 giunto a Vico, da Napoli, per motivi di salute: un’insistente tisi che lo portò a qui a casa della sorella e non avrebbe immaginato di finire la sua vita proprio nella cittadina dove era venuto a curarsi. Nel 1788, insieme alla moglie Carolina, il Filangieri fu ospitato nel castello feudale dalla sorella Teresa che aveva sposato Filippo Freschi Ravaschieri. Qui si ammalò e il 21 luglio 1788 e dopo poco morì. Era nato a Cercola, provincia di Napoli, da una ricca e titolata famiglia, la cui storia si intrecciava con quella dei Normanni giunti sulle nostre coste al seguito di Roberto il Guiscardo nel 1045. Nel 700 Napoli era pervasa da spiriti pieni di grinta per progettare una vita più dignitosa e che si allontanasse da quella dei vassallaggi feudali. Alla domanda che cosa fosse la feudalità, il Filangieri rispondeva: “una specie di governo che divide lo stato in tanti piccoli stati, la sovranità in tante picciole sovranità; [...] che dà al popolo molti tiranni invece di un solo re; al re molti ostacoli a fare il bene, invece di un argine per impedire il male; alla nazione un corpo prepotente, che situato tra il principe e il popolo, usurpa i diritti dell' uno con una mano, per opprimere l'altro coll' altra; [...]". Sarà a causa della sua breve vita che il Filangieri non è mai stato valorizzato come meritava e nei libri di storia il suo nome sfila sotto i nostri occhi alla stessa stregua di altri che fanno numero. Nasce come giurista, si propone come filosofo, intrattiene scambi con altri autori del tempo e, suo malgrado, diventa fautore dei principi ispiratori del nascente stato americano.
 
Pur nella sua breve vita ci ha forniti di un testo “Scienza della legislazione”su cui tanto si è detto per avere riferimenti con altri pensatori del periodo e martiri come Mario Pagano e Domenico Cirillo. Su quest’opera si sono formati i protagonisti della rivoluzione napoletana del 1799 e lo stesso titolo racchiude aspirazioni illuministiche. “Il benessere dei popoli dipende dal prosperare dei costumi e della vita morale, che dipendono a loro volta dalla legislazione che deve essere coerente, trasparente, razionale”. L’interesse che si ha per Filangieri non è solo di natura giuridica e filosofica, ma affascina di lui anche l’aspetto umano, l’aspetto di un uomo di grande sensibilità. Allora Napoli era una città in fermento con idee innovative e che lasciavano sognare la nuova gioventù. Nel 1769 con la morte dell’abate Genovesi, si sentì orfano per la seconda volta dopo quella del padre avvenuta due anni prima. Fu subito dopo che diede mano al testo: “La morale dei principi fondata sulla natura e sull’ordine sociale”, una prima esperienza di filosofo dove abbozzò quelle che sarebbero rimaste le sue idee e che nascevano dal detto dei suoi antenati: “Fai que dois aviegne que peut”, Fai il tuo dovere sempre! Un vero napoletano conosce Gaetano Filangieri, sia per le sue idee che per l’uomo che era: cacciatore di donne e di selvaggina alla corte di Ferdinando IV, grande studioso, rivale del re forse proprio per questo aspetto che più attraeva di lui unito alle sue maniere eleganti. Spesso, il re, amava lasciare “Gaetanino” a corte a studiare invece di portarselo a caccia. Gaetano Filangieri è una delle figure più rappresentative di quella transizione tra il vecchio regime e il costituzionalismo moderno con un ricco dibattito filosofico e giuridico che ebbe vasta eco anche all’estero. L’unanime consenso non gli evitò opposizioni da coloro che temevano di perdere i privilegi della feudalità. Ma ormai, alla vigilia della Rivoluzione Francese, si erano fissate nuove basi di vita. . Wolfgang Goethe, come si sa, fece il suo celebre saggio Viaggio in Italia in incognito, anche se non sempre riuscì a celare la sua identità. Dopo essersi fermato per più di tre mesi a Roma, proseguì il suo viaggio per la penisola e arrivò a Napoli. Qui conobbe molti personaggi italiani e stranieri, e tra questi Gaetano Filangieri, il famoso autore dell’opera La scienza della legislazione. Goethe racconta che in casa di lui, il venerdì 9 marzo 1787, incontrò una signora che lo colpì per il suo aspetto piuttosto eccentrico e bizzarro, e ne copre il nome con tre asterischi. Questa «graziosa donnina» lo invitò a pranzo a casa sua, e fu così che la sera di lunedì 12 marzo, Goethe si trovò a tavola, seduto tra Filangieri e l’ospite padrona di casa, e con alcuni monaci benedettini seduti di fronte a loro. La «donnina», racconta sempre Goethe, non cessava mai di parlare, tormentando soprattutto, in modo inverecondo e con malizia, i monaci benedettini. A un tratto, rivolta a Goethe, disse: «Che diavolo avete detto col Filangieri? Gran brav’uomo, eh! Ma si dà troppo da fare. Quante volte non gli ho detto: se voi altri fate delle leggi nuove, noi non finiremo più di stancarci per trovare subito il mezzo di trasgredirle, mentre per le leggi vecchie abbiamo già trovato il rimedio». A queste parole, riportate dal suo racconto, Goethe fa seguire il seguente commento: «Certe cose possono essere tollerate nel vivo della conversazione, specialmente se pronunziate da una bella bocca, ma a metterle nero su bianco non piacciono nemmeno a me; l’insolenza ha questo di particolare, che lì per lì piace perché stordisce, ma a raccontarla ci offende e ci ripugna». (B.Cottone) La sue ceneri si trovano nella Chiesa, allora cattedrale, della SS. Annunziata a Vico, con quelle di sua moglie, e non poteva non esserci, a questo punto, un luogo che ci parlasse di lui: una strada. Un luogo che accoglie una vita avrà qualcosa in comune, qualche riferimento, vorrà ricordarci o dirci qualcosa. Aleggerà da quelle parti lo spirito illuminista di Gaetano che cerca di infonderci un pizzico di curiosità per andare a leggere qualcosa sul suo conto e farci promotori di idee nuove, di un nuovo che sa di antico, un antico che diventa sempre la nostra strada maestra.

Filomena Baratto* è nata a Vico Equense. È laureata in Lettere Moderne all’Università Federico II di Napoli e insegna nella Scuola Primaria da 29 anni. Sin da piccola ha manifestato una spiccata propensione per l’arte, a cominciare dalla pittura, talento a cui si aggiunge anche la musica con lo studio del pianoforte. A queste sue passioni unisce anche la scrittura. Inizia a pubblicare nel 2010 in seguito a un evento familiare che la scuote profondamente e che le dà la spinta a pubblicare la raccolta di liriche Ritorno nei prati di Avigliano, Alberti Editori. Segue poi, nel 2012, il romanzo Rosella edito da Sangel Edizioni e ancora la raccolta di racconti Sotto le stelle d’agosto, Graus Editore nel 2013.

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