di Filomena Baratto
Vico Equense - Ad annunciarci il Natale sono gli zampognari nei giorni dell’Avvento. Ci riportano a un mondo fatto di suoni, di gesti semplici che sanno della nostra infanzia. Tutto quello che ci ha toccato profondamente in quel periodo diventa sacro e non possiamo farne più a meno. Gli zampognari hanno reso magici i nostri Natali, con suoni e canti che viaggiano nel tempo e che ancora oggi ci riportano alla tradizione. Con zampogne e ciaramelle, tirano fuori canti e suoni di una volta. Da piccoli, al loro arrivo, c’era una tregua e quel momento si fissava nella mente. Mentre suonavano, immaginavamo la capanna santa, i pastori, la cometa, il deserto, Maria, Giuseppe e il Bambinello in quella mangiatoia che sembrava la culla più bella del mondo. I nostri occhi brillavano di quella felicità che solo i bambini hanno e il cui ricordo vive ancora da adulti. E’ stato allora che abbiamo costruito il nostro Natale, che ci siamo preparati il nostro presepe, che ne abbiamo visto le luci, i doni, la nascita. Mentre gli zampognari suonavano, noi intorno eravamo assorti, stretti a semicerchio, rilasciando nuvole di aria calda dalle nostre labbra che evaporavano come fumo. I loro nasi erano rossi, la pelle secca per le folate di vento e di gelo, gli occhi fissi mentre con il corpo accompagnavano i movimenti dell’otre gonfia tra le braccia. Io li aspettavo già dal mattino presto ma a volte venivano a sera, e nell’attesa mi stendevo su due sedie accanto alla fornace vinta dalla stanchezza.
Ma appena sentivo le prime note da lontano, correvo ad avvisare gli altri. Non volevo perdere la nenia del Bambino al tramonto.
All’imbrunire era ancora più suggestivo raccogliersi sotto le stelle nel cielo ancora acceso dagli ultimi raggi di sole formati da tanti filamenti d’oro. Al suono si mescolava il fruscio dei loro abiti pesanti, unito all’odore di resina che si portavano addosso dalla montagna. Aumentava quel rossore della pelle ad ogni soffiata nel cannello. Dopo accettavano un buon bicchiere di vino, qualche dolce e del formaggio. Nell’aria il profumo del miele e dell’anice disciolto sulle zeppole e sugli struffoli preparati anzitempo per la devozione. Dopo i saluti, uscivo fuori, nel viale. Li accompagnavo con gli occhi mentre si allontanavano per poi entrare nel cancello successivo dove già immaginavo lo stesso rituale. Mi chiedevo da dove arrivassero, quale fosse la loro vita, dove vivessero quando non era Natale. Quando si andava a piedi, con le note degli zampognari in mente, mio nonno fischiava il motivetto di “Tu scendi dalla stelle” mentre io, con due sassolini di diversa grandezza, ne battevo il tempo. Così, quando lui correva troppo o restava indietro, lo richiamavo all’ordine con il mio ritmo. E c’erano leggende che si raccontavano sul loro conto mentre suonavano: sulle pelli usate, sui lupi scuoiati, sulla montagne da cui scendevano e i luoghi dove si dirigevano. Storie vere e gonfiate, piene di mistero in cui erano avvolti per il fatto di vedersi solo una volta all’anno. E tutte le paure che a volte prendevano noi bambini, non bastavano a toglierci la voglia di ascoltarli. Essi esisteranno fino a quando ci saranno gli artigiani, sono loro a conoscerne i segreti, l’arte di costruirli. La regione degli zampognari è il Molise, lì è nata l’arte delle zampogne, conosciute in tutto il mondo. La vita dello zampognaro è dura, faticosa, con i suoi continui spostamenti all’interno di ogni regione dell’Italia Meridionale. Si racconta che un soldato sannitico al seguito di Giulio Cesare, nella conquista della Britannia nel 55 a.C. abbia portato con sé una zampogna e in un momento di nostalgia della sua terra, dopo una giornata di combattimento, si sia appartato lontano dagli accampamenti suonando il caro strumento. Il suono fece imbizzarrire i cavalli che svegliarono tutto l’accampamento. Portato al cospetto di Cesare, il soldato spiegò il suo gesto, ma Cesare si illuminò, servendosi di quell’espediente per atterrire i cavalli nel successivo combattimento e avere così la meglio nella battaglia successiva, conquistando quelle genti difficili da sottomettere. Ancora oggi, gli abitanti della Britannia amano questo strumento, che presso di loro assume il nome di cornamusa, diversa per suono e costruzione, a cui hanno dato un valore sacro e magico. Le zampogne vivono ancora grazie all’arte dei maestri artigiani che riescono a mantenerle efficienti e nuove. Speriamo che non smettano mai questo lavoro così unico che permette di costruire atmosfere di momenti magici come quelli del Natale.
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