mercoledì 20 dicembre 2017

Alfonso Pepe, il pioniere «Così sono riuscito a venderlo ai milanesi»

Fonte: Gimmo Cuomo da Il Corriere del Mezzogiorno

Alfonso Pepe, pioniere del panettone made in Campania. Quanti panettoni produce? «Cinquanta, sessantamila pezzi all'anno». Che parte della produzione va fuori regione? «Almeno il cinquanta per cento». Dove viene richiesto di più? «Prima siamo approdati a Roma, poi a Milano. A mano a mano si è radicato in tutt'Italia. Negli ultimi anni stiamo crescendo anche in Europa. Siamo presenti a Parigi, Barcellona e Monaco di Baviera». Qual è la differenza tra un panettone artigianale e uno industriale? «Numero uno: le materie prime. Poi la passione e l'esperienza del produttore. Due ingredienti sono fondamentali: la farina e il lievito madre». Quanti anni ha il suo lievito? «L'ho ricevuto dal grande maestro dei lievitati Achille Zoia, che me lo regalò 30 anni fa». È stato difficile far capire che un prodotto realizzato a regola d'arte con ingredienti di grande qualità deve necessariamente avere un prezzo molto più alto della media? «Ho iniziato la mia esperienza col panettone industriale che, non vorrei sembrare arrogante, non mi è sembrato granché. Poi feci un laboratorio con un pasticcere milanese. E lì notai la differenza. Ma iniziarono anche le difficoltà con i clienti: all'epoca due bottiglie di Moscato e un panettone costavano 5 mila lire. Noi vendevamo il panettone di un chilo a diecimila. Mi hanno chiamato pazzo per un po' di tempo. Ora quelle stesse persone si complimentano e ci dicono che hanno imparato a gustare anche i canditi e l'uvetta». Perché non piacciono i canditi? «Hanno ragione. Anche a me non piacevano. Purtroppo per essere concorrenziali sul prezzo si acquistano canditi di qualità discutibile. Noi possiamo dire di mettere nel panettone la frutta, piuttosto che i canditi». Qual è stato il pregiudizio più difficile da superare quando ha iniziato a proporre i suoi lievitati? «Grandi difficoltà non ne ho avuto, perché ho proposto un prodotto artigianale, di pasticceria. A Milano, la città del panettone, questa specialità era diventata seriale, ripetitiva. Quattro anni fa un collega milanese mi ha ringraziato per aver contribuito a rivalutare il panettone a Milano. Ora tutti i pasticceri milanesi producono il proprio, prima mettevano il nome a panettoni industriali».
 
Immaginiamo, e non ci vuole tanto sforzo per farlo, che un rivenditore finisca i suoi panettoni. Quale prodotto consiglierebbe? «Oggi in Campania sono in tanti a fare buoni prodotti. Cito per tutti, i collegi Sal De Riso, Salvatore Gabbiano, Pasquale Marigliano». Il panettone è solo una moda o ormai rappresenta un must imprescindibile? «Certamente è diventato una moda, ma a tornare indietro sarà un po' difficile. Una volta abituati alla qualità si va avanti». A Napoli si è riusciti a destagionalizzare la pastiera che ora si mangia anche a Natale. Si riuscirà a fare lo stesso col panettone? «In verità, io il panettone lo produco per 8-9 mesi all'anno. Da maggio all'Epifania». Panettone a parte, quai è il suo dolce di Natale preferito? «Il raffaiolo in particolare».

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