martedì 3 marzo 2009

«Troppo lenta la macchina giustizia le responsabilità erano evidenti»

«Mi chiedo perché sia passato tanto tempo e perché non sono state ancora accertate le responsabilità». Elisabetta Orbino, la mamma di Fabiola Di Capua, commenta così gli sviluppi della vicenda giudiziaria. Sono trascorsi due anni e due mesi dal tragico incidente in via Caracciolo. La madre della giovane insegnante di equitazione, travolta e uccisa da un palo sul lungomare il 22 dicembre del 2006, vive a Sorrento con il marito Francesco, titolare di un negozio di ottica. Fabiola, dopo gli studi in costiera, si era trasferita a Napoli, dove viveva con il marito e la figlioletta. Tre persone, un dirigente del Comune di Napoli e due funzionari dell’Acea, saranno processate. «Questo nuovo capitolo della vicenda giudiziaria non attenua il nostro dolore. Le responsabilità per la morte di mia figlia sono evidenti. Non è possibile trovare una spiegazione logica sulle cause che hanno strappato una giovane donna all’affetto del marito e della figlioletta in così tenera età, senza rendersi conto che siamo di fronte ad una tragedia che poteva essere evitata. Su questo non possiamo darci pace, non possiamo farcene una ragione». Sotto il profilo giudiziario la vicenda è ormai alla fase conclusiva. «Me lo auguro. Fabiola continua a vivere nei nostri cuori, mentre noi aspettiamo che venga fatta giustizia. Ma soprattutto vogliamo, anzi pretendiamo, che non si verifichino più tragedie come questa». L’attesa per avere giustizia, ma anche un accorato grido di allarme, quindi? «Certo. Speriamo nella giustizia terrena. Poi, un giorno, sarà quella divina a prevalere. Per quella non serviranno avvocati. Noi abbiamo scelto di parlare pubblicamente della nostra tragedia perché desideriamo tenere accesi i riflettori dell’opinione pubblica su quello che è capitato alla nostra famiglia. Auspichiamo che mia figlia non venga dimenticata e che episodi del genere non si ripetano: è ingiusto perdere la vita in questo modo, per imperizia o negligenza di chi avrebbe dovuto vigilare sullo stato di tenuta di un lampione della pubblica illuminazione». Una ferita sempre aperta, il dolore inconsolabile di una madre. Due anni dopo l’incidente, quali sono i suoi sentimenti? «Sono tragedie che lasciano il segno per sempre. In tutti noi, ma, soprattutto, nella figlioletta di Fabiola che, all’epoca dell’incidente, aveva soltanto otto mesi e che sarà costretta a crescere senza la madre. Una madre che amava i bambini, tanto da dedicarsi alla loro educazione». (Antonino Siniscalchi il Mattino)

Lampione assassino, solo i tecnici a giudizio

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