domenica 28 agosto 2011

La rivoluzione a casse vuote

Fonte: Paolo Macry da il Corriere del Mezzogiorno

Sussurri e grida. Esiste oggi una macroscopica differenza tra il piano nazionale e locale della politica. Le grida scomposte vengono dai palazzi romani e dall’orchestrina svagata di un parlamento di nomina partitica. I sussurri pensosi dagli amministratori eletti dal popolo, sindaci e governatori costretti a timonare imbarcazioni piene di falle. Se spesso, nello storia italiana, le élite di governo sono state più attendibili di un notabilato locale vorace, oggi accade il contrario: il centro politico del paese è poco più di nulla e, nel deserto, non restano che gli amministratori di città e regione. Diventati per amore o per forza assennate formiche. Quel che la partitocrazia sta combinando di fronte alla crisi economica è sorprendente. Il governo ha decretato una manovra finanziaria di dimensioni enormi, ma senza effetti sullo sviluppo (parola di Guido Crosetto) e, come non bastasse, la riscrive giorno dopo giorno, litigando spudoratamente sull’Irpef, sull’Iva, sulle pensioni, sulle province, eccetera. Per parte sua, l’opposizione presenta una contromanovra che (parola di Tito Boeri) è la solita miscela di demagogia e conservatorismo: aria fritta. In compenso, si prepara allo sciopero generale.


Il bipolarismo affonda nell’impotenza: Berlusconi è rumorosamente scomparso, i democrat sono mille pezzi, i sindacati si fanno la guerra. Neppure la questione morale serve più. A poter recitare la parte del puro e duro è rimasto Beppe Grillo. Non Bersani, al quale i pm di Monza hanno tranciato d’un colpo il braccio destro. E in un simile quadro (così diverso dall’Italia del 1992-93) che si muovono i Caldoro e i de Magistris. Le loro casse sono davvero vuote: politicamente, oltre che finanziariamente. Né può aiutarli una battaglia rivendicativa contro il governo, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. Al pari di altri colleghi meridionali, gli amministratori campani sono soli a vedersela con gli enormi problemi — materiali, sociali, culturali — del territorio. C’è di che scoraggiarsi. Ma c’è anche da essere consapevoli di un’occasione storica. Se chiamiamo rivoluzione un improvviso cambio di classe dirigente e di valori pubblici, capace di mandare in soffitta regimi non più sostenibili, quella dei Calodoro e dei de Magistris sembra qualcosa di simile. Con tutti i rischi del caso, ma anche con l’inusitata opportunità di ricostruire la trama comunitaria sulla quale viviamo. Significativamente, governatore e sindaco parlano all’unisono di riforma amministrativa, decapitazione delle partecipate, trasparenza di bilancio. Progettano di utilizzare il fantasma di Bagnoli (alla buon’ora). Discutono pragmaticamente sul ciclo dei rifiuti. Parole alle quali dovranno seguire i fatti (e certe cautele politichesi di Caldoro o certa sicumera demagogica di de Magistris non depongono bene). Ma intanto chi governa il territorio non ha più scappatoie, non i trasferimenti ordinari da Roma, non i grassi fondi Ue, né ha coperture politiche tra i partiti e nel governo, né può aggrapparsi alle ideologie. Dire che Napoli e la Campania sono a un passaggio epocale e che dovranno comunque contare sulle proprie forze non è, per una volta, facile retorica. E, piaccia o meno, sono questi amministratori che guideranno il percorso.

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