mercoledì 16 ottobre 2013

Benvenuti sulla montagna abbandonata

Senza la Funivia un calo di presenze dell’80 per cento. E per ritirare la posta bisogna scendere fino a Meta 

Fonte: Ciro Sabatino da Metropolis 

Vico Equense - C’è un buco, sulla sommità del Faito. Qui lo chiamano ‘neviera’. Un po’ di tempo fa, quando ci finiva dentro la neve, e quando la neve diventava ghiaccio, c’era anche qualcuno che si calava in quel buco, tirava via il ghiaccio e lo vendeva. Il ghiaccio. Denaro. Risorse. Chance. Per chi ci viveva, su quella montagna. Ma erano altri tempi. “I tempi del Conte”, dicono da queste parti. E ovviamente parlano di Girolamo Giusso. E fanno riferimento a più di un secolo fa. Ora non è più così. Non è più come ‘ai tempi del Conte’. Ora la Montagna è un gigante torpido e solitario. Una specie di grande tartaruga con le zampe sui sassolini di una spiaggia di Capri, e la testa nella Reggia di Quisisana. Incastrata tra due meraviglie. Schiacciata su migliaia di case abusive, nate come funghi alle pendici del Monte. Il Faito. Quattro pensionioncine, cinque bar, un minimarket, una chiesetta che però si chiama come una cattedrale. Il tempio di San Michele. E poi un centinaio di ‘residenti’, un’ottantina di cani randagi, dei corvi grandi come falchi, 15 bambini e neanche uno scuola-bus. Qui per andare a studiare si organizzano le macchine la mattina, e il comune paga un po’ della benzina. E se gira bene, se non c’è troppo traffico, dopo aver fatto scendere i pargoli davanti all’asilo di Vico Equense, chi guida si tira pure un attimo a Meta di Sorrento, per ritirare la posta. Già, perché l’ufficio postale non c’è, al Faito. La munnezza se la portano via due volte alla settimana, e il ‘pullman’ sale quattro volte al giorno. Ma fino alle cinque di sera. Dopo è finita. Ti chiudi in casa e ciao ciao. E la faccenda non vale solo per gli ‘autoctoni’. Si fregano anche quelli che qui hanno le villette. Sono un migliaio di ‘stranieri’, con duecentottanta baite di lusso, raffinate e discrete. Anche per loro il Faito d’inverno, dopo le cinque di sera, è un eremo silenzioso e distante. Da tutto quello che chi sale lassù vuol lasciarsi alle spalle. Non c’è più il Conte. E non c’è più neanche quello che si era inventato. Le neviere, i fasci di carbone, le castagne dei Pirenei. O una strada, per esempio.
 
Quella che dalla Reggia di Quisisana portava dritto dritto in cima, evitando il caos della costiera. Niente. Oggi quel serpente che strisciava sulla dorsale di Castellammare e portava su turisti e denaro, è ‘chiuso al traffico’. Le macchine salgono lo stesso. In attesa che venga giù tutto e qualcuno, dicono da queste parti, sia costretto a piangere i suoi morti. Danilo Somma, il proprietario dell’Hotel sant’Angelo, ha gli occhi neri che gli brillano e certe cose non vorrebbe dirle. “Deve girare”, dice. “E c’è bisogno di essere positivi, di avere più entusiasmo”. Lui è un ‘ragazzo’. Vive a Sorrento, ma ogni mattina apre il suo albergo e aspetta. Che qualcosa cambi, su quella meravigliosa montagna. “Scriva che sono il nipote del custode della montagna”. E anche lui fa riferimento al Conte. Perché il nonno di Danilo era per il Conte, che lavorava. Una vita fa. Danilo è uno di quelli che ce la mette tutta. Un po’ come Alfonso Cannavale. Un pensionato della Fincantieri che ha due figli, quattro nipoti, otto cani e un’Opel Corsa ‘tutta scassata’. Alfonso ha le idee chiare. E mentre guida la sua Opel Corsa ‘tutta scassata’, e prova a ricordarsi i nomi dei suoi otto cani (Nevrus, Tom, Apache, Gimmi senza y, e poi... e poi...) la dice, la verità. Qui senza Funivia non c’è speranza. Non ci sono chance. Per nessuno. “Dicono - dice - che chi vive qua sopra è nu’ poco pazzo. Secondo me sono più pazzi quelli di giù, però. Se pensano che una montagna così possa vivere senza turisti”. Ha ragione. Non ci sono dubbi. Rispetto agli anni passati, con la chiusura della Funivia, c’è stato un calo di presenze dell’80 per cento. Vincenzo Circiello, il proprietario del Papillon, proprio di fronte alla Funivia, fa un conto facile facile. “Dal primo settembre nel mio bar saranno entrate si e no cento persone. Comprese le domeniche”. E Giovanni Somma della Cinciallegra annuisce. Nervoso. Il Faito è un gigante abbandonato. Oggi ci volano corvi che sembrano falchi. Alfonso ha riempito una busta di funghi. E parla di briganti, di storie antiche. Danilo sorride, silenzioso. “Deve girare”. Pensa. E gli brillano gli occhi.

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