di Filomena Baratto*
Vico Equense - Mia madre frequentò la scuola media alla SS. Trinità a Vico e, ogni volta che ne parlava, avevo l’impressione che si trattasse di una bugia, visto che non riuscivo mai a capire dove fosse, a Vico, l’ edificio scolastico. Poi un giorno, portando i miei alunni in gita, mi resi conto che il corridoio al piano terra della SS.Trinità aveva quei finestroni che lei mi decantava tanto. E pur conoscendo la struttura non avevo mai collegato che prima lì ci fosse una scuola Nella sua fantasia forse rappresentavano qualcosa, e fu così che vidi la sua scuola. L’edificio, che affaccia sul corso Filangieri e su via San Ciro e da questa parte reca ancora la scritta di “Istituto feminile SS.Trinità” e sicuramente generazioni di alunni hanno frequentato questa scuola. Il pensiero che mia madre abbia frequentato la scuola in questo edificio storico, ricco di fatti che nel tempo si sono avvicendati, mi emoziona ancora oggi. La struttura nacque come istituto femminile, conservatorio, per volere di Monsignor Giovan Battista Reppucci, ma prima ancora per volere della Marchesa Donna Brigida Marra . Fu poi Suor Serafina a dare avvio e a rendere fattibile l’opera. In quel periodo e per tutto il periodo medievale, la vita monacale delle donne non rappresentava la risposta a una propria scelta interiore, bensì rifletteva problemi sociali e, le famiglie per salvaguardare il patrimonio familiare, le obbligavano al convento. Una struttura monumentale di grande prestigio, come ce ne sono diverse sorte in questo periodo storico per lo stesso motivo. Oggi una struttura del genere, ricca e corposa, sarebbe impensabile e non potrebbe nascere nemmeno dalla mente di un architetto che volesse cimentarsi in costruzioni d’epoca.
Una struttura seicentesca posta in un luogo incantevole, con un panorama da cartolina, ricco di spazi degni di una località regale. Una struttura che nel tempo ha avuto vicende alterne, usata per svariati motivi, con proprietari diversi, con continui cambiamenti dovuti a deperimento della struttura, non ultimo dopo il terremoto dell’80 e suo utilizzo sempre diverso, rappresentando qualcosa di incompiuto in ogni epoca. Ha attraversato varie difficoltà, fatti, situazioni che ogni volta ne hanno cambiato il volto. Una così bella struttura dovrebbe essere un rifiorire continuo, ma quando i pretendenti sono tanti, le possibilità di essere sfruttata nel modo migliore scemano e allora le cose si complicano. E’ una struttura che si adatta ad ogni esigenza, potrebbe costituire un complesso scolastico, come lo è già stato, o la sede del Comune, una Biblioteca o un museo, come già si trova al suo interno, un luogo di studi, un’università. Sappiamo bene che l’importanza di una città è data dai servizi che offre e più ne ha, più aumenta il suo prestigio. Attualmente tre sono gli occupanti della struttura, tra cui il Comune di Vico Equense. E’ una storia controversa, che vieta al palazzo seicentesco di essere utilizzato in modo pieno, mentre solo una piccola parte di esso, oggi, viene sfruttata. Quando ci sono troppi interessi si cerca allora di prendere tempo per evitare contese. La burocrazia in tutto questo non aiuta: ci sono tempi da rispettare, clausole da tener presente, proprietari da interpellare. Mi piace credere che la volontà di quella lontana nobildonna, che diede forza al suo desiderio, riuscendo poi nell’intento, possa essere anche motivo di un desiderio unico per tutti, oggi. Quando le volontà si moltiplicano, come un’operazione matematica inversamente proporzionale, scema la possibilità di averne una sola, forte e determinante. La volontà dovrebbe confluire in un unico punto per essere decisiva e rendere la struttura non solo funzionale a tutti gli effetti, ma senza più personaggi di sorta che, come ombre, vagano all’interno delle carte e non solo, impedendole di avere una vita autonoma.
La struttura appartiene a una comunità e come tale dovrebbe continuare ad essere, dando lustro ai personaggi che l’hanno voluta e continuare ad avere l’onore di possedere un palazzo d’epoca, unico nel suo genere in città.
Filomena Baratto* è nata a Vico Equense. È laureata in Lettere Moderne all’Università Federico II di Napoli e insegna nella Scuola Primaria da 29 anni. Sin da piccola ha manifestato una spiccata propensione per l’arte, a cominciare dalla pittura, talento a cui si aggiunge anche la musica con lo studio del pianoforte. A queste sue passioni unisce anche la scrittura. Inizia a pubblicare nel 2010 in seguito a un evento familiare che la scuote profondamente e che le dà la spinta a pubblicare la raccolta di liriche Ritorno nei prati di Avigliano, Alberti Editori. Segue poi, nel 2012, il romanzo Rosella edito da Sangel Edizioni e ancora la raccolta di racconti Sotto le stelle d’agosto, Graus Editore nel 2013.
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