Fonte: Ottavio Ragone da La Repubblica Napoli
«Mi dispiace di non essere riuscito a fare tutte le candidature belle come quella di Paolo Siani». Ha ragione Matteo Renzi, non c'è riuscito. Candidature belle come Siani, Marco Rossi-Doria e poche altre risaltano nel Pd di Napoli e della Campania. Renzi, fuorviato dal gruppo dirigente regionale del suo partito e forse timoroso di perdere troppi voti al Sud, ha commesso un errore politico. Invece di rimuovere i protagonisti di tante sconfitte elettorali, usando il celeberrimo e invisibile "lanciafiamme"; invece di aprire le sedi ai giovani e a chi si impegna nella società, il leader ha messo il Pd campano, e non da ora, nelle mani di Vincenzo De Luca. Sottovalutando, nella prospettiva delle elezioni, gli effetti politici nazionali della concezione dinastica e localistica del potere, più volte manifestata dal presidente della Regione e confermata dalla candidatura al parlamento del figlio Piero, imposta in Campania dal potente papà-govematore. È per questo che, ieri. De Luca non s'è visto accanto al leader? Ha mandato il fedele Fulvio Bonavitacola. Ma lui non c'era e nemmeno Piero. Imbarazzo, il gelo di Renzi. Certo ha un immediato impatto politico - al di là di una rilevanza giudiziaria molto difficile da dimostrare - il video di Fanpage, che mostra il figlio Roberto dialogare con un ex boss mascherato da imprenditore, quasi come se fosse lui il governatore che disciplina gli appalti delle "ecoballe". «Usano camorristi per ricattarci», contrattacca De Luca padre, parlando di «barbarie, sabotaggi e operazioni».
Ha legittime ragioni da spendere quando contesta il metodo utilizzato da Fanpage. Eppure ciò non modifica il fulcro della questione. A che titolo parlava il figlio Roberto? Che c'entra lui con le ecoballe? Riemerge così la particolare natura accentrata e familistica del potere del presidente della Regione, denunciata da Repubblica fin dall'inizio in quasi totale solitudine. Lui si circonda di pochi fédelissimi e parenti, dispensa incarichi con scaltrezza. Insulta le rare voci critiche. Diffidente, autoritario, carica su di sé tutto, sanità, trasporti, cultura: perfino l'uomo solo al comando non può farcela. Difatti c'è la famiglia. Le immagini del figlio di De Luca, sparate con sorprendente tempistica nel vivo di una velenosa campagna elettorale, sono una specie di calcio di rigore a porta vuota offerto ai 5 Stelle, al centrodestra e anche a Liberi e uguali, in cerca di consensi a sinistra tra i delusi del Pd. «Assassini politici», sbraita Luigi Di Maio chiamando in causa i De Luca, ben contento di allontanare dai Cinque Stelle la vergognosa vicenda dei finti rimborsi. «Perché Roberto De Luca tratta in nome e per conto della Regione?», chiede Leu di Piero Grasso. È innegabile il nefasto effetto politico che le scelte compiute in Campania producono sul Pd nazionale. Peseranno sul voto? Probabile. Qui hanno deciso in pochi. De Luca. Il capogruppo alla Regione Mario Casillo. La segretaria regionale Assunta Tartaglione che, dimenticando l'imparzialità del ruolo, ha candidato se stessa ben tre volte. Poi, certo, ci sono anche le «belle candidature». Poche però, ha ragione Renzi.
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