martedì 27 marzo 2018

Melanzana rubata assolto dopo 9 anni


E lo Stato ha speso migliaia di euro. Un 49enne sottoposto a tre gradi di giudizio La Cassazione: reato tenue, non andava processato. Ma i giudici insistono: un furto è sempre tale 

Fonte: Chiara Spagnolo da La Repubblica

Una melanzana da 20 centesimi è costata allo Stato migliaia di euro, tra 7 e 8mila solo per il gratuito patrocinio. Un 49enne sardo, S.S., residente in provincia di Lecce, è stato sottoposto a tre gradi di giudizio per tentato furto, ottenendo l’assoluzione dopo nove anni. La sentenza della Corte di Cassazione bacchetta i giudici salentini, che in primo grado condannarono l’imputato a 5 mesi di reclusione e 300 euro di multa e in appello ridussero la pena a 2 mesi e 120 euro. Ma, soprattutto, porta in primo piano la questione della “tenuità” di alcuni reati, disciplinata con decreto legislativo del 2015, ma «ancora da precisare per certi aspetti», come sottolinea la presidente dell’Ordine degli avvocati di Lecce Roberta Altavilla. A quel foro appartiene anche l’avvocato Silvana D’Agostino, che ha sposato la battaglia del ladro di melanzana e l’ha portata fino alla Suprema Corte, «anche per una questione di principio, visto che in altre circostanze i giudici hanno assolto riconoscendo lo stato di necessità».
 
E questo — stando alla documentazione prodotta — era il caso del 49enne, all’epoca sposato e con un figlio a carico ma disoccupato. I carabinieri, nel 2009, lo sorpresero in una campagna di Carmiano (a pochi chilometri da Lecce) con una melanzana rubata. La denuncia fu inoltrata in Procura e, nonostante il proprietario del fondo non avesse sporto denuncia, l’inchiesta andò avanti. Da lì al processo il passo fu breve, così come dalle udienze alla condanna, che inizialmente fu calcolata sulla pena massima prevista per il furto, ovvero 6 anni. In secondo grado l’avvocato sostenne che la sottrazione della melanzana non si era consumata, ottenendo che il furto diventasse tentato, e continuò ad evidenziare «lo stato di necessità». La Corte d’appello, però, non volle sentire ragioni e ribadì la condanna, ottenendo dopo qualche anno la dura reprimenda della Cassazione, secondo la quale il reato tentato avrebbe dovuto indurre ad applicare le nuove norme sulla tenuità. Una svista che ha fatto spendere ulteriori migliaia di euro allo Stato, considerato che il ricorso in Cassazione è quello più costoso e che l’imputato ha usufruito del gratuito patrocinio, per cui l’intera parcella del legale è stata pagata dai contribuenti. In totale si tratta di 7-8.000 euro, centesimo più centesimo meno, a cui si aggiunge il lavoro di giudici e cancellieri per quattro udienze di primo grado, una in appello e una in Cassazione. «Non conosco le carte di questo processo — commenta la presidente dell’Ordine — ma credo che di fronte a fatti tenui, che non devastano la coscienza sociale, si possa applicare la legge in maniera adeguata al caso di specie». E se i giudici si difendono, spiegando che un furto per il Codice penale resta tale indipendentemente dall’oggetto, per Altavilla «questo caso limite deve far riflettere, perché probabilmente non si immagina che possano esistere furti da 20 centesimi ma, visto che esistono, il legislatore deve pensare a nuove disposizioni».

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