giovedì 29 marzo 2018

L’arte di intrecciare

di Filomena Baratto

Vico Equense - Non abbiamo più la passione di aggiustare le cose, ce lo vieta il consumismo, la voglia di cambiare e la convinzione di buttare via le cose vecchie. Il discorso finisce di solito così: il tempo che spreco ad aggiustarlo, lo guadagno comprandolo nuovo. O anche “la spesa non vale l’impresa”. Una volta non era così: non c’era il benessere di oggi e prevaleva il gusto del fare. Mio nonno, da bambina, mi portava per i campi nei suoi giri di perlustrazione, con i suoi “tortanelli”, piccoli rami elastici con cui legava tutto ciò che pendeva e non stava al suo posto. Era come un sarto: aggiustava la vite, tirava su una ciocca di albicocche, innestava, legava i cespugli per dare loro una forma. Aveva sempre al seguito le cesoie e i rametti per cucire, suturare, otturare, innalzare. L’arte che aveva nelle mani era inverosimile. Una volta gli ho chiesto dove prendeva quei laccetti e corde di rami di cui si serviva per lavorare e così mi elencò tutti gli alberi da cui si ricavano. Mi parlò delle ginestre, del salice, dell’ulivo, dell’olmo, del ciliegio, del castagno, alberi che forniscono ramoscelli sottili per legare o intrecciare. L’uso che ne faceva era notevole e non gli bastavano mai quelli ricavati dai suoi alberi. Quando la scorta finiva andava al mercato di Piano per procurarseli e usciva esclusivamente per questo. Non se ne serviva solo per aggiustare le posizioni di rami e ciocche cadenti, anche per creare ceste di vimini su misura, in quei formati difficili da trovare e che lui confezionava con grande perizia, un’arte che oggi quasi non esiste più.
 
Eppure in diverse parti d’Italia ancora si intrecciano ceste, ma anche qui ci sono cestai di lunga tradizione. Mio nonno di solito li aggiustava, soprattutto quelli che perdevano i ramoscelli dalle loro postazioni e restavano in aria creando fastidio o facendo assottigliare la capienza del contenitore. I rami di salice erano adatti ad ogni lavoro, soprattutto per l’intreccio. Quando il nonno intrecciava una cesta, si sedeva comodo sulla scanno, sedile ricavato da un ceppo e con ramoscelli alla mano cominciava a lavorare. Prendeva un bel po’ di bastoncini rigidi e li fissava al centro formando una croce creando così la base per lavorarci intorno. Poi cominciava il lavoro in altezza, tessendo tutto intorno la trama con i suoi “tortanelli”, come li chiamava. Mi colpiva la passione che ci metteva: non alzava lo sguardo dal lavoro e a volte non aveva cognizione di quello che gli accadeva a due passi. Tutto sommato erano piccole ceste per sistemarci la frutta o utensili, piccoli lavori. A me ne dava una piccola dove sistemavo fiori o frutti caduti dagli alberi. In fase di lavorazione, il nonno appoggiava l’intreccio avviato sulle ginocchia e faceva in modo che stesse frenato anche se a tratti lo girava tra le mani per agevolare i vari passaggi. Si fermava quando ne usciva un lavoro ben rifinito. L’arte di intrecciare i rami dovrebbe essere ripresa da chi la conosce bene per fare in modo che i giovani imparino vecchie tecniche sempre utili. In questo modo si conoscono gli alberi e la loro fioritura, il tipo di legno, l’elasticità dei rami e per quali lavori. L’arte del fare andrebbe intrapresa in ogni caso, sia che si scelga un mestiere che una professione e il costruire insegna tante cose, persino a pensare. L’arte del costruire è rilassante, il fare riposa la mente così come il pensare riposa il fisico. Per l’intreccio non servono rami veri e propri ma polloni, quei ramoscelli che crescono alla radice della pianta o da nodi di alberi e si mostrano più flessibili e teneri degli altri. La voglia di fare e di creare può essere contagiosa. Ci sono in giro piccoli capolavori che vanno a ruba e sono un richiamo non solo per i turisti. E poi c’è un ritorno alla natura che si avverte anche in casa preferendo il legno alla plastica con ceste e oggetti ricavati dai rami di alberi di varia provenienza. Sanno dei terreni dei diversi luoghi dove i polloni per l’intreccio sono cresciuti. Creare una scuola che tenga conto di queste arti antiche è un modo per non perdere le proprie radici, la tradizione dei padri e la conoscenza del territorio.

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