di Filomena Baratto
Cercando un libro di storia, mi sono imbattuta nel romanzo La sposa normanna di Carla Maria Russo, che mi ha piacevolmente sorpreso. In verità ero alla ricerca di Federico II di Svevia, sì, lo Stupor Mundi. Un imperatore che ha lasciato un’orma indelebile nella nostra storia. Figlio di Costanza d’Altavilla ed Enrico VI, nonchè nipote di Federico Barbarossa, nacque già erede di due casate e pretendente al trono del Sacro Romano Impero. Il meridione porta segni importanti di questo imperatore che fu invidiato da più parti, scomunicato per due volte da Papa Gregorio IX che vedeva in lui un diavolo da perseguire con ogni mezzo. Quello che non gli perdonavano erano le sue doti di grande politico e di uomo di cultura oltre ad essere forte, bello e intraprendente. Attorno alla sua figura girano miti e leggende. Intanto la sua corte fu un luogo di incontro di culture e personalità, dove ebbe inizio la nostra letteratura con la Scuola poetica siciliana. Fondò l’università di Napoli nel 1224, diede impulso alla Scuola Medica Salernitana. Il libro è così convincente che potrebbe essere adottato nelle scuole per rendere la storia più viva e a portata dei ragazzi ed entusiasmarli alla conoscenza dei fatti.
Scritto in modo fluido e chiaro rende perfettamente l’epoca, fornisce elementi storici e descrive i personaggi con una tale forza e precisione che sembra di conoscerli da sempre. Si prende in considerazione il periodo precedente la nascita di Federico e i suoi primi anni di vita. Costanza D’Altavilla, figlia di Ruggero II il normanno, aveva scelto il convento, ma all’età di trent’anni, mentre sul trono di Sicilia c’era Guglielmo I, fu costretta a uscire , chiamata dal nipote in punto di morte per affidarle la reggenza del regno. Costei, appena fuori, si recò a Milano per il fidanzamento con Enrico VI, uomo dai modi discutibili e molto restio a quel matrimonio, che veniva celebrato per volere del padre. Enrico riaccompagnò Costanza a casa, in Sicilia, ma dovette lasciarla a Salerno, per tornare in Germania dove era appena morta sua madre.
A quel tempo Costanza aveva un’età ritenuta vecchia per una donna che andava in sposa. Enrico si era fatto della futura moglie un’idea di donna non idonea al ruolo da sostenere. Ma quando le fu accanto dovette ricredersi. Non solo era di grande bellezza, ma aveva ogni carta in regola e non si poteva credere che fosse stata chiusa in convento mentre era nata per essere regina. E non si comprende l’avversione che provava nei suoi confronti se come donna andava oltre le sue aspettative. L’autrice descrive minuziosamente i caratteri e le personalità di Enrico e Costanza oltre a fornire un quadro completo di quella che era la Sicilia di allora: una terra difficile da governare. ll Papato, intanto, manteneva sempre i suoi emissari sul luogo per informarsi, e se il vuoto politico si fosse protratto, sicuramente avrebbe messo le mani sul grande regno. Dopo il matrimonio Costanza andò in Germania dove rimase per un po’. Il clima e l’ambiente di corte sicuramente non le giovavano e pensava alla sua terra di Sicilia e a farvi ritorno quanto prima. In un passaggio si legge:” L’Italia del sud si mostrava alla sovrana nei colori più amati: il blu del cielo e del mare gareggiava con l’oro del sole e delle spighe mature. E poi il verde argentato degli ulivi, quello più deciso dei limoni e degli aranci, i mille colori dei fiori. Terrazze coltivate a vigneti e frutteti si alternavano sulle pendici dei monti che terminavano a strapiombo sul mare”. Intanto nessun erede all’orizzonte. La parte centrale del romanzo è la descrizione di quello che visse Costanza per dare alla luce suo figlio, ormai avanti con gli anni, e in condizioni non proprio adatte. La vita con Enrico fu un inferno, continuamente sopraffatta dalla sua arroganza e dalla sua misoginia, per cui tornò in Sicilia col bambino che diede alla luce a Jesi nel 1194, all’età di quarant’anni. Poco dopo Enrico VI morì, ma l’anno successivo anche lei se ne andò. Federico II rimase orfano all’età di quattro anni, sotto la protezione del Papa a cui si era rivolta Costanza d’Altavilla, vista l’età del piccolo Federico, e sotto la gestione di cavalieri dell’Impero. In questo periodo crebbe con la compagnia di persone del popolo, con i bambini della sua età scoprendo un mondo ricco e multietnico in una Palermo dalla mille sfaccettature. Fu allevato soprattutto dalla strada, tra il palazzo e i vicoli della città, dove si sentiva a casa, si permetteva di parlare il dialetto, di essere discolo, di scrollarsi di dosso la regalità che pur gli apparteneva. Leggeva molto, veniva a contatto con una società variegata e non si privava mai della sua gente. Il palazzo per lui era un luogo freddo che gli ricordava la madre e quelli che avevano il dovere di sorvegliarlo. La seconda parte, con la descrizione della vita di Federico da bambino, diventa molto avvincente, così come le vicissitudini di Costanza per mettere al mondo il figlio. Nel romanzo c’è tensione dall’inizio alla fine. I fatti storici ritornano penetrando la loro quotidianità. Ha una potenza che blocca, illumina, stupisce, affascina. Lo ‘’stupor mundi’’, come fu chiamato Federico II, ha qui un posto d’onore. Un libro interessante che indaga nella vita del piccolo Federico prima ancora che dell’Imperatore.
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