venerdì 27 gennaio 2023

Vico Equense. Giornata della Memoria: Antonino Miniero, la storia di un deportato

Due anni in un campo nazista 

Vico Equense - Ogni anno il 27 gennaio il mondo ricorda i milioni di donne, uomini e bambini innocenti vittime della tragedia dell'Olocausto. Si chiama Giornata della Memoria, affinché le persone nel tempo ricordino fino a che punto la crudeltà umana si è spinta, in una storia neanche troppo distante. Un’occasione per riflettere sulle cause di un doloroso passato e al tempo stesso consolidare le basi, attivarsi, perché nel presente e nel futuro le cause che generarono la Shoah non si ripresentino. Sono tante le storie dei sopravvissuti, e tra queste ce ne sono diverse che riguardano nostri concittadini. Come quella di Antonino Miniero, originario di Sant’Agnello ma cresciuto a Massaquano, insignito della medaglia d'onore alla memoria nel 2021. Allo scoppio della seconda guerra mondiale presta servizio in marina. In occasione dell'armistizio, l'8 settembre del 43, si trova a Pola, in Istria, ed è lì arrestato dai tedeschi e, poi, internato in un campo di lavoro vicino alla città di Erfurt, in Germania. Resta prigioniero per due anni. Dal 12 settembre del 1943 fino al 16 settembre del 1945, liberato dai russi. "Della prigionia e di quegli anni non parlava quasi mai – ricordano le figlie, Luisa e Maria Miniero (foto) - forse per proteggerci dalle atrocità. che aveva visto e vissuto. Quando trasmettevano in TV qualche documentario o filmato sul tema cambiava canale. È stato sempre molto sobrio. Ci ha riferito solo qualche frammento di vita vissuta da internato. Come il ricordo della doccia, nudi, tra la neve a prima mattina. La lotta per la sopravvivenza, combattuta recuperando patate nei campi. L’infezione provocata dal tifo, nascosta ai carcerieri su consiglio di un commilitone: "se glielo dici invece di portarti da un medico ti mandano nel forno crematorio". E poi il ritorno avventuroso a casa "una volta liberati, nessuno si curò del trasferimento di questi militari. Mio padre raggiunse l'Italia con mezzi di fortuna, arrampicandosi sui treni merci, camminando per centinaia di chilometri. Quando arrivò a casa, lui, alto quasi due metri, pesava 50 chili e la mamma fece fatica a riconoscerlo. Per quello che ha visto e patito non gli abbiamo sentito pronunciare mai una sola parola d'odio o di recriminazione. E’ questo il testimone ideale che ci ha consegnato. Ha avuto sei figli e ci ha educati all'etica del sacrificio e del rispetto". 

1 commento:

LA VITA CHE AVREI VOLUTO ha detto...

Finalmente qualcuno comincia a ricordare tanti giovani militari deportati in Germania, senza alcun motivo ragionevole, la cui unica colpa è stata quella di servire la propria patria l'italia!!

Luisa Miniero