domenica 3 settembre 2023

Storia e maccheroni il regno della pasta


Gragnano celebra la sua specialità un'epopea lanciata dai Borboni (e che ha sedotto anche Garibaldi) 

di Caterina R. d'Aragona Corriere del Mezzogiorno 

Maccarone, m'hai provocato? E io ti distruggo adesso Verme, io me te magno!». Alberto Sordi in U n americano a Roma (1954); dello stesso anno è l'esilarante finale di Miseria e Nobiltà, con la tarantella di Totò in piedi sul tavolo mentre mangia i vermicelli a piene mani: due scene del cinema italiano sintetizzano il posto di rilievo che la pasta ha nell'immaginario italiano. Questione di cultura, prima ancora che di alimentazione. Una cultura che ha come epicentro Gragnano, a due chilometri dal golfo di Napoli, da cui arriva la brezza marina che si incrocia con quella che proviene dai Monti Lattari: una magia climatica che, assieme alle proprietà delle acque, ha fatto la fortuna dei suoi pastifici. La produzione gragnanese affonda le sue radici in epoca romana, quando le acque del torrente Vernotico alimentavano i mulini che fornivano la farina per il pane di cui si cibavano a Pompei, Ercolano e Stabiae.
  «I mulini, aumentarono progressivamente nella cosiddetta "Valle di Mulini" con la costruzione di un grande acquedotto, che all'inizio del XVII secolo diventò un sistema perfetto» sottolinea Giuseppe di Massa, presidente del Centro di cultura e storia di Gragnano e Monti Lattari, intitolato all'antropologo Maria Alfonso Di Nola. «Si pensò infatti, per la prima volta, al recupero dell'acqua che azionava il primo mulino e al suo riutilizzo nell'alimentazione degli altri mulini, sfruttando le diverse altezze del terreno. Contraddicendo il proverbio "Acqua passata non macina più", Gragnano è stata dunque pioniera nel rispetto della risorsa idrica». L'esperto racconta: «Io sono nato in un pastificio, di cui mio padre era contabile. Dopo 50 anni di esperienza nelle concerie, ho avuto la fortuna di insegnare tecnologia conciaria ai giovani africani. Ora che sono in pensione mi dedico allo studio e alla valorizzazione della tradizione dei pastai gragnanesi», dice il professor di Massa. A lungo essiccatoio naturale, come testimoniano dipinti e fotografie storiche che la ritraggono con le file dorate di pasta distese sulle canne di bambù ad asciugare, via Roma sarà, dall'8 al 10, il centro di «Gragnano Città della Pasta». Da notare che la festa organizzata e promossa dal Consorzio di Tutela della Pasta di Gragnano Igp richiama nel suo titolo una data storica: il 12 luglio del 1845, giorno in cui Ferdinando II di Borbone, durante un pranzo, concesse ai fabbricanti gragnanesi il privilegio di fornire la corte del Regno di Napoli di tutte le paste lunghe. Da allora Gragnano diventò la Città dei Maccheroni. Già nel XVI secolo, per la verità, un editto reale aveva conferito a un gragnanese la licenza di vermicellaro. «Da quell'epoca diventò irreversibile l'evoluzione della pasta da cibo dei ricchi ad alimento popolare, democratico, che permetteva di nutrirsi velocemente, con il giusto apporto di carboidrati e un'ineguagliabile adattabilità a condimenti e culture diverse», sottolinea di Massa. Difficile sciogliere la diatriba sulla vera patria della pasta, rivendicata soprattutto dalla Cina e dalla Mesopotamia. «Sicuramente non la portò Marco Polo. Così come è certo che la fortuna dell'oro bianco, che ha nella presenza della serotonina (l'ormone del benessere) il suo segreto, deriva dalla maestria dei pastai gragnanesi, a cui dobbiamo l'invenzione della trafila al bronzo e persino la capacità di prevedere i cambiamenti di un clima particolarmente favorevole. A tutto vantaggio di un'asciugatura lenta e moderata della pasta di semola di grano duro», aggiunge l'esperto della città che, a metà '800, vantava 100 pastifici che producevano oltre 1.000 quintali di pasta al giorno. «Sappiamo che perfino Giuseppe Garibaldi si faceva spedire a Caprera la pasta di Gragnano. Dopo l'Unità d'Italia - aggiunge Giuseppe di Massa - una tassa proporzionale ai giri delle macine penalizzò i piccoli mulini di Gragnano, in favore delle grandi macine verticali del nord Italia, che consumavano molta acqua e non erano in grado di macinare grano duro. Si cominciò dunque a comprarlo dai francesi. Fu l'inizio del declino dei pastifici del Sud, nuovamente penalizzati dalla chiusura delle esportazioni verso l'America, schizzate tra il 1875 e il 1915, e dalla diffusione delle industrie del nord, con macchine a lavorazione continua e una politica di prezzi al ribasso». «Gragnano è ripartita dopo il terremoto del 1980, invertendo la tendenza: ha deciso - sottolinea l'esperto - di scommettere sulla qualità».

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