domenica 22 marzo 2009

Le primarie e gli oligarchi

Le primarie sono tra i motivi d'orgoglio della sinistra, il segno della democrazia che scorrerebbe nelle sue vene. Ma sono primarie finte. Servono a santificare plebiscitariamente il candidato unico del partito (Prodi, Veltroni). Vengono annullate se il risultato non è quello voluto (il caso Petteruti). Si decide di non farle se bisogna imporre per una seconda sindacatura la Iervolino, ma si decide di farle se bisogna sbarazzarsi dell'uscente Di Palma. Piaccia o non piaccia, le cose stanno così. Altro che America. Le primarie della sinistra finiscono per rivelarsi, volta a volta, come un'esibizione di patriottismo o una lotta sorda tra maggiorenti. Non sono una mobilitazione dell'opinione pubblica (a conti fatti, va a votare lo zoccolo duro). Né un'occasione di dibattito (mai sentiti discorsi programmatici). Né un modo per rompere le oligarchie di partito (come nei vecchi congressi, le fila le tirano comunque i big). In vista delle provinciali del 13 aprile, erano da attendersi — per una volta — primarie vere. Dopo tutto, il quadro amministrativo locale è screditato, il rapporto con l'opinione pubblica in grande sofferenza, la prospettiva di essere scavalcati dal centrodestra molto forte. Non a caso, nei mesi scorsi, il dibattito all'interno del Pd aveva preso fuoco e duri scontri si erano accesi tra bassoliniani e antibassoliniani, ex-ds ed ex-popolari, napoletani e salernitani, eccetera. Questo grumo di conflitti, sia pure in modi talvolta politicistici, sembrava voler riflettere su un'esperienza di governo locale, della quale tutti — ma proprio tutti, da Ranieri a Nappi — dicono che sia morta e sepolta. Del resto, quando una coalizione fallisce e diventa minoritaria, è il suo istinto di conservazione a chiedere che si metta mano ad una riflessione seria e coraggiosa, nella prospettiva di riconquistare credibilità. È successo l'opposto. I duellanti sono finiti nella palude. Oggi i democrat che parteciperanno alle primarie, dovranno scegliere fra tre candidati, Guglielmo Allodi, Luigi Nicolais e Salvatore Vozza, i quali — a parte essere ottime persone — hanno spiegato molto poco e frettolosamente perché bisognerebbe votare l'uno e non gli altri due. E che anzi, con il passare del tempo, hanno evitato di differenziarsi troppo, hanno annacquato i giudizi politici, hanno sfornato programmi mingherlini, trincerandosi (chi più, chi meno) dietro mezze parole, cortesie sibilline, promesse cifrate. Il che non vuol dire che la sinistra abbia miracolosamente sanato le sue ferite. Dietro le quinte, al contrario, le contrapposizioni appaiono più che mai laceranti. Le odierne primarie sono soltanto la prima battaglia di una guerra tra i notabili del Pd, che passerà poi per le europee, le regionali e infine le comunali. La posta in gioco è altissima e questo spiega perché, pur trattandosi di un ente minore come la Provincia, negli ultimi giorni si siano moltiplicati i tradimenti, le conversioni improbabili, le alleanze machiavelliche e perché i Signori dei Voti siano scesi in campo al gran completo e stiano lavorando alacremente. Tutto accade nell'ombra e tutto fa pensare che queste primarie non serviranno a rompere le oligarchie. Al contrario, le rafforzeranno. (Paolo Macry da il Corriere del Mezzogiorno)

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