Fonte: Marco Demarco da Il Corriere del Mezzogiorno
Errore: la storia del Pci non è affatto conclusa. Anzi, come in «Kingsman», l'ultimo film di Matthew Vaughn, ecco che il racconto continua anche dopo i titoli di coda. Non è affatto vero, insomma, che tutto è finito con l'avvento di Renzi. Le primarie campane fanno clamorosamente a pezzi questo schema liquidatorio. Nella periferia Sud così non è. A sorpresa ha vinto Vincenzo De Luca, sindaco (decaduto) di Salerno al quarto mandato non consecutivo, per molti un prodotto tipico del plebeismo carismatico meridionale, per altri un decisionista benemerito. Ha vinto nonostante le complesse e note vicende giudiziarie che lo espongono a possibili sospensioni dalle cariche pubbliche; nonostante abbia già sfidato, perdendo, il berlusconiano Caldoro; e nonostante abbia poi rinunciato a svolgere il ruolo di capo dell'opposizione per tornare a Salerno. Ma quella storia non sarebbe finita anche se alle primarie avesse vinto l'eurodeputato Andrea Cozzolino. Sebbene di generazioni diverse, cinquantatreenne l'eurodeputato, sessantaseienne il sindaco, entrambi sono infatti nati comunisti. E tali, secondo molti, sono rimasti. Giocando di sponda, sono riusciti non solo a resistere allo tsunami rottamatorio, ma anche a orientare a proprio vantaggio l'onda di ritorno.
Tant'è che Renzi ha potuto usare toni ultimativi con Sergio Cofferati e Maurizio Landini ma non con loro. Entrambi hanno resistito a tre rinvii delle primarie e a tre candidature «alternative». Come è stato possibile? Semplice: al tempo di Renzi, a Napoli e in Campania un'altra classe dirigente non è ancora venuta fuori. Pina Piciemo ha fallito proprio per essere stata imposta da Renzi come capolista alle ultime Regionali. Gennaro Migliore, strappato in extremis a Vendóla, si è ritirato intimidito quando il nome era già stampato sulla scheda. E Gino Nicolais ha rinunciato avendo capito l'antifona: come scienziato e presidente del Cnr puoi essere pluridecorato quanto ti pare, ma per vincere servono i voti, non le medaglie. De Luca e Cozzolino hanno combattuto entrambi contro il «colonialismo» antimeridionale. Ma De Luca lo ha fatto in modo più radicale, usando sia toni esplicitamente «sudisti», sia ragionamenti e calcoli da amministratore. E forse proprio per questo ha battuto Cozzolino, che aveva dalla sua due punti di forza: essere napoletano, e a Napoli vive la metà dei residenti in Campania, e essere stato un devoto di Bassolino, che per fargli posto nella sua giunta non si fece scrupolo di «licenziare» proprio Nicolais. In sostanza, De Luca ha vinto trasformando i propri handicap in opportunità. La sua proverbiale antinapoletanità, la sua antica rivalità con Bassolino, e il suo carattere tracimante al limite dell'arroganza, lo hanno posto fuori da una triplice continuità: contro l'attuale linea amministrativa di Caldoro, a suo avviso simile più a un amministratore di condominio che a un politico capace di visioni; contro la precedente giunta bassoliniana, rea di aver sprecato risorse a vantaggio di Napoli senza aver creare sviluppo ne in città ne in regione; e contro le scelte nazionali di Renzi e del partito. «Il Pd — ha ripetuto più volte — è stato un circo equestre, si è occupato solo di politica politicante e ha offeso la dignità delle persone civili». In tempi di radicalismi centronordisti, ecco dunque quello di De Luca. La sua «visione» di città è simboleggiata dal Crescent, un bestione di nove piani progettato dall'archistar Ricardo Bofil: abbraccia una piazza che De Luca ha voluto di Chi è qualche cent metro più ampia della napoletana piazza Plebiscito. Cosi che anche su questo fronte Salemo non fosse seconda al capoluogo regionale.
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