venerdì 23 ottobre 2015

La sensibilità

di Filomena Baratto

Vico Equense - Si fa presto a dire “sei sensibile” ma a volte non sappiamo nemmeno cosa vogliamo dire con questo termine. Una “persona sensibile” recepisce in maniera amplificata quello che agli altri appare normale. Capta dall’esterno ogni piccola sfumatura, sembra un artista che aggiunge colore a un dipinto in divenire. Una smorfia, un sorriso, un ritardo, una mancanza, tutto si rivela al “sensibile”. C’è un’accelerazione della recezione, un’amplificazione delle sensazioni e delle emozioni, insomma un’eccessiva rilevazione dati unita ad una perspicacia che fa andare oltre l’apparenza, il non detto, il non sentito, il non rivelato. Di contro abbiamo il tipo logico, analitico, che si ferma a quello che le orecchie sentono e gli occhi vedono ed ha una grande capacità di bloccare il pensiero, di non andare oltre, di non estenderlo ulteriormente, non per mancanza di intelligenza ma di fantasia. La sensibilità è fantasiosa, lungimirante, attenta, precisa, pesa e soppesa, fa crollare e ricostruisce. La sensibilità è un’ artista che si mette in gioco, si chiede e si ripone domande, non dà mai niente per scontato, ha paura delle cose che ama, ha timore e mette in dubbio…insomma è un inferno, un laboratorio di emozioni che da un bel da fare. Non che il tipo sensibile non possa essere logico, ma in lui tutto appare tridimensionale con un sesto senso sempre in azione. Altro che fortuna! Al sensibile molto meglio preferire il razionale, il freddo, colui che sa fermare il processo mentale, che sa quando non bisogna andare oltre, che dà un ordine a quello che prova, che detta una scaletta di priorità, sa riconoscere i propri sentimenti e non ha la vocazione di capire tutto, ma soprattutto quello che si limita alla sua cerchia di competenza.
 
Secondo Karl Popper la sensibilità avviene attraverso la stimolazione dell’ambiente esterno unita alla costituzione innata ad avere delle sensazioni e alla disposizione innata ad interpretare ciò che arriva attraverso i sensi. Secondo Jacques Monod, gran parte del carattere di un bambino si forma grazie all’ambiente e un ambiente molto stimolante sviluppa una grande sensibilità unita a curiosità. La fantasia ha gran parte in questa operazione: simula, si interroga, amplifica. Grazie a lei si hanno subito immagini pronto uso, si fanno proiezioni a breve, medio e lungo termine, si scava nell’insondabile, si avvertono freddi e tremori, paure e sospetti. La sensibilità è un pianeta così vasto che ci si perde al suo interno. Essa sovrasta, mette in moto un meccanismo che ci impedisce di essere sereni. La funzione che più di ogni altra accende l’intelligenza creativa è quella di simulazione che, secondo Jacques Monod, autore del “Il caso e la necessità”, premio Nobel per la medicina nel 1965, anticipa i risultati dell’esperienza e la prepara in modo adeguato. Ecco allora che il sensibile è ansioso, proprio per il motivo di simulare ogni azione e prevenirla con largo anticipo e con grande lavorio mentale, un lavoro creativo. Alcuni credono che la sensibilità abbia attinenza con la fragilità, tutt’altro. I sensibili sono ottimi osservatori, non sfugge loro nulla, ricordano tutto, sono attenti ai cambiamenti, danno peso alle parole, al modo in cui si dicono, agli intenti che sottendono alle azioni, si commuovono spesso, sono passionali, se si arrabbiano sono eccessivi, vivono molto le tragedie degli altri, si immedesimano nei loro vicini, prendono i problemi degli altri come fossero loro, sono ipercritici, hanno bisogno di tempo per elaborare e archiviare situazioni negative, ricordano con partecipazione gli eventi del passato. A cosa serve la sensibilità? E’ un’amplificazione del modo di recepire il mondo, fa parte del carattere e bisogna instaurarci una buona convivenza per non soccombere. La sensibilità è una temperatura sempre alta, è una febbre che non passa, uno stato sempre all’erta e chi la possiede non ha vita facile. L’aspetto che maggiormente si avverte subito nel sensibile, tra le altre cose, è questa capacità di capire il prossimo, di avere ben chiaro davanti le intenzioni degli altri nel bene e nel male. Spesso il sensibile fa sogni premonitori, ha le caratteristiche di un sensitivo e se poi vede meglio e di più rispetto agli altri viene definito un “paragnosta”, ovvero chi si avvicina alla conoscenza attraverso canali non convenzionali. Sensibilità è vivere in una sfera parallela dove il mondo è uno strato multiforme che si imbatte con il nostro spirito critico e vigile. Sensibilità è un gran bel caos esistenziale. Non è proprio così piacevole, fa cadere in dubbi amletici, su come comportarsi, sul voler glissare le situazioni e invece puntualmente cadono addosso per essere loro i primi a carpirne le fasi interne, vorrebbero mollare ma non possono, vorrebbero far finta di niente, ma non ci riescono e si chiedono perché questo surplus di situazioni in cui districarsi. “Che sensibilità!”, per dire “ora è affare tuo sbrigarti la faccenda, tocca a te che tutto riconosci, darti da fare. E mentre il non sensibile vive all’oscuro e nel limbo delle situazioni, chi lo è si trova a gestirle ma vorrebbe rigettarle. Ma quali facilitazioni ha il sensibile? Sa sempre cosa pensa l’altro, sa smascherare ma anche smorzare situazioni spiacevoli, è attento agli altri, sa dare un sorriso con gioia, si carica di problemi altrui, è sempre positivo, ottimista, anche se dentro combatte. La sensibilità è una marcia in più sicuramente fatta di intelligenza, profondità, iniziativa. Se incontrate una persona che vi sembra un disadattato, quello è un sensibile e se provate a metterlo in difficoltà, prima o poi sarete voi ad esserlo.

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