lunedì 26 ottobre 2015

Intervista a Nicola Corrado. «Berlinguer non voterebbe questo Pd»

Nicola Corrado
Fonte: Carla Guarnieri da Metropolis 

Una lettera aperta ai componenti dell’Assemblea provinciale del Pd Metropolitano. Un invito a ripensare e a ricostruire il partito che «elezione dopo elezione, è stato consegnato ad una dimensione di marginalità politica e sociale». Dalla sua analisi e anche delle immagini con cui Nicola Corrado, membro dell’Assemblea metropolitana del Pd, ha scelto di corredare le sue riflessioni il Partito Democratico appare come un partito a pezzi. Perdita di consensi e di credibilità, necessità di un profondo cambiamento, percorsi che si costruiscono attorno a singole personalità. Il giovane avvocato stabiese, ex vicesindaco, già assessore al comune di Castellammare e fondatore negli anni '90 del movimento anticamorra "I care", traccia uno scenario disastroso ma «maledettamente vero». E' anche pronto a guardare avanti, per costruire un Pd più radicato nella società e meno ingessato nelle liturgie che hanno fatto perdere consenso a Napoli e provincia. Il suo è un grido di allarme, anche in vista dell'appuntamento del 29 ottobre. Ha scritto una lettera molto dura. Richiamando le parole di Enrico Berlinguer. "I partiti non fanno più politica", diceva il segretario del Pci, più di trenta anni fa. Anche alla luce di quanto è accaduto a San Giorgio, ho riflettuto molto sulle sue parole. Diceva che i partiti di oggi sono macchine di potere e di clientela, scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente. E ancora che non sono più organizzatori del popolo, ma federazioni di correnti, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". Per cui mi sono posto una domanda crudele: quanto oggi il Pd di Napoli è lontano da questa fotografia scattata agli inizi degli anni '80?
 
E cosa si è risposto? Come ho scritto nella lettera, la domanda è avvertita come retorica dalla maggioranza dei cittadini napoletani. Sono stati gli elettori stessi con il loro voto a rispondere a questo quesito, consegnando il Pd a una dimensione di marginalità politica e sociale. Ora si va incontro a importanti appuntamenti elettorali. Il partito non è pronto, secondo lei? La questione reale da mettere sul banco, a mio avviso, non è tanto quella della ricerca di un candidato unitario o quella delle primarie. Il tema da affrontare è molto più profondo. Si tratta di guardarci in faccia e capire come siamo percepiti dai cittadini, quanto sia alto il nostro livello di credibilità, quanto il nostro partito sia in grado di offrire per lo sviluppo e la crescita delle nostre terre. Il consenso elettorale non è solo questione di numeri, quello che serve a cambiare veramente le cose è un consenso che si misura sulla qualità. Il partito è da rivoluzionale. E' ora di darci una scossa. Come è stato possibile arrivare a questo punto? Da dove nascono questi errori? Il nostro consenso è peggiorato in termini di qualità. Oggi il Pd napoletano è una federazione di correnti personali, impegnate nella costruzione di un consenso personale, che ruota intorno ad un consigliere comunale, a un sindaco, a un parlamentare, a un consigliere regionale. E se un giovane oggi dovesse entrare in una sezione, trovandola miracolosamente aperta, la prima cosa che gli verrebbe chiesta non è "cosa pensi," ma "con chi stai". Questo è un limite che continua a indebolire il partito. In queste condizioni non convinceremo gli elettori a votarci. Con un partito di questo tipo non vinceremo mai le elezioni per il Comune di Napoli. Anche se il discorso riguarda la politica in generale. Alle ultime elezioni ha vinto il partito della non partecipazione. Avviare un percorso di cambiamento per la città è difficile, quando pezzi del territorio scelgono di non andare a votare. Il 29 ottobre vi aspetta l'assemblea provinciale. Sarà l'occasione per guardarsi negli occhi e capire da dove ripartire. Dobbiamo decidere il percorso che ci porterà alla sfida elettorale di primavera. Da sei mesi non veniva convocata l'assemblea. Ci siamo visti per le liste per le regionali, poi il vuoto. Non ci siamo incontrati neanche per un'analisi del voto. Nella lettera indirizzata all'assemblea provinciale del Pd metropolitano, ho chiesto se siamo certi di avere le carte in regola per chiedere a personalità come Cantone o Siani di candidarsi per noi alla carica di sindaco. Ma io penso che non possiamo candidarci a guidare il cambiamento se non cambiamo profondamente noi stessi. I cambiamenti sono frutto di una battaglia e non di percorsi unitari, che servono solo a coprire la nostra vergogna e a perdere. E' come se vivessimo nella paura del confronto. Lei scrive che le primarie, quelle vere, sono un terreno di battaglia «dove si misurano idee e persone, visioni e programmi». Ne sono convinto. Come sono convinto che debbano servire per affermare un altro partito, diverso da quello di oggi, che sicuramente Berlinguer non avrebbe mai votato in nome della questione morale. Il segretario diceva che "i partiti hanno degenerato e questa l'origine del malanni d'Italia". Le primarie sono strumento fondante per il Pd, non possiamo permettere che l'autolesionismo di alcuni pezzi del gruppo dirigente vada avanti. Scegliamo un candidato democraticamente, rendiamo le primarie non una resa dei conti interna ma una sfida tra idee e progetti per la città, senza strane alchimie. Lei è pronto a guidare questa battaglia per il cambiamento? La necessità è ricucire lo strappo tra la politica e la società, per questo chi si candida alle primarie deve anche essere pronto a farsi promotore di un percorso di rinascita del partito, che oggi è strutturato per correnti. Scuotiamo la Napoli immobile, porosa e delusa che esiste oggi. Già intravede un possibile percorso per questa trasformazione del Pd? Prendere atto dei limiti del partito è solo un primo passo. A tal proposito, faccio una riflessione. Nelle ultime settimane Napoli si è trovata a rifare i conti con la bestia camorristica. Noi, come politica, siamo stati troppo lontani, assenti dai quartieri. Pensiamo alle sezioni, che in molti rioni non ci sono più. Queste aree sono spesso illuminate solo dai parrocci e dalle associazioni ma noi non ci siamo. Torniamo nelle strade e nei vicoli di Napoli. Riportiamo la politica tra la gente.

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