mercoledì 6 gennaio 2016

Ricordi di Befana

di Filomena Baratto

Vico Equense - La mia prima Befana fu una lavagna con gessetti e una bambola, avevo 6 anni, prima non ricordo di aver ricevuto giocattoli in questa occasione. Quelle di prima non le ricordo forse perché questa fu una Befana bravissima, secondo copione: venne dopo mezzanotte, non mi accorsi di niente ed ebbi le stesse cose di mia sorella, ovviamente per non litigare. Ero rimasta sveglia fino a tardi sicura di beccarla mentre appoggiava i giocattoli sul letto, ma non ce la feci, mi addormentai senza accorgermene. Quando aprii gli occhi era l’alba, la stanza nella semioscurità e mi sembrò di vedere qualche protuberanza ai piedi del letto. Per accertarmene, andai a toccare con le mani il monticello, che fece un gran baccano per la carta che l’avvolgeva. Mi ritrassi per aver fatto un bel po’ di rumore e anche spaventata per aver capito che realmente era venuta la befana. La successiva fu il classico trenino su rotaie che a me piaceva tanto. Non lo avevo chiesto, ma un trenino c’è sempre stato tra i nostri giocattoli, forse per abituarci alle partenze. Poi la Befana ha cambiato sempre doni, fino a portare libri o capi di abbigliamento. Una Befana che non dimenticherò mai fu quella di ritornare, per la sera della festa, a casa di mia nonna e di mattina il mio letto fu stracolmo di carbone e cioccolate. Il dono più atteso fu dormire nel lettone di nonna dal quale mancavo da un po' di anni, svegliarmi con comodo in un piacevole silenzio, col fruscio delle foglie e qualche ululato di cane che girava per le terre. Crescendo la Befana è diventata perspicace e sapeva sempre di cosa avevo bisogno. Una volta, grandicella, l’ho portata io a dei bambini orfani in un vicino Istituto di suore, dove ero andata con altri ragazzi.
 
Alcuni bambini si erano legati a me, per qualcuno potevo sembrare la sua mamma e per l’occasione portai loro giocattoli, abbigliamento, dolci, libri. Da quella volta mi aspettavano ogni domenica col mio sacco di regali. Anche quando ho capito che la Befana era solo una ricorrenza che altro, mia madre ci teneva alla nostra calza e ne faceva una veramente deliziosa mettendoci dentro i miei dolci preferiti. Ho imparato allora che piccoli gesti possono essere di grande valore, come quella di sapere che mamma appoggiava la calza sul letto a notte fonda proprio per rendere credibile il passaggio della befana, anche se avevo sedici o diciassette anni. Capire che mia madre, assonnata e morta di freddo, non andava a letto per portare a compimento il nostro desiderio, mi riempiva di gioia. Di mattina la ripagavo portandole il “canarino” e il caffè a letto con qualche cioccolata prelevata dalla calza. Questi momenti li ricordo con piacere e per me sono carichi di significato, momenti indimenticabili. Con le mie sorelle controllavamo se ci fossero stessi dolci, stesse marche, contavamo anche gli smarties e guai a trovarne in meno, ne nasceva una disputa, ma piacevole. I nostri letti si riempivano di carte e mia madre sedeva con noi per rubarci le cioccolate. Si rideva e si mangiava, raccontavamo le befane precedenti, quelle di mia madre, di mia nonna. Momenti a cui do molto più valore adesso, quando le cose e i tempi passano ma restano i ricordi di quei momenti. Se dovessi scegliere la mia Befana di oggi, vorrei riavere i miei momenti di calore familiare, con mia madre, le mie sorelle, mia nonna, tutto quello che allora mi sembrava una famiglia non unita, ma era, invece, ricca di affetti. Le cose che si vivono hanno tutte un valore, anche le più insignificanti al momento, col tempo acquistano colore. La Befana oggi dovrebbe assecondare i nostri desideri, quelli più nascosti ed esaudirli. Dovrebbe darci sempre buone notizie dal mondo, per esempio dall’Africa o dall’America o dal Medio Oriente e appoggiare sul nostro letto il responso delle nostre richieste per il mondo, anche se dovessimo impegnarci molto per ottenerle. Non perdiamo la fiducia nella Befana e non permettiamo che i bambini vedano svanire un personaggio che, oltre ad alimentare la loro fantasia, può alimentare il loro cuore e credere che i miracoli possono accadere.

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