giovedì 1 febbraio 2018

Meglio un Casini oggi che un compagno domani

Da 47 anni sulla scena politica, l'attuale presidente della commissione parlamentare sulle banche si candida a Bologna col Pd. È l'ultima giravolta del suo eterno ritorno. In sella. 

Fonte: Luca Telese da Panorama

A otto anni guardavo in tv Berlinguer e Fanfani, a 12 ero già moderato e facevo comizi antisessantottini...». Chi l'avrebbe mai detto: Pier Ferdinando Casini torna protagonista, dopo otto legislature e 47 anni di politica, diventando uno dei simboli più potenti di questa campagna elettorale. Era il veterano del Parlamento, l'esemplare più pregiato degli highlander della Prima Repubblica, e oggi proprio lui, ex leader del centrodestra, corre per il Pd, a Bologna nel collegio più rosso, della città più rossa, nella regione più rossa d'Italia. Lui che nel 1999 festeggiava in piazza Maggiore l'elezione del suo amico Giorgio Guazzaloca di fronte al popolo del centrodestra in delirio - «Chi non salta comunista è!» - lui che sparava a zero su Walter Veltroni e l'amatissimo (sotto le due torri) Romano Prodi: «II Paese non si rassegna a darla vinta alla sinistra - diceva - questo di Prodi è il governo più di sinistra mai visto!». Lui che tuonava contro le coppie gay: «Il matrimonio tra omosessuali è un'idea profondamente incivile, una violenza sulla natura». E aggiungeva sarcastico e malizioso: «Mi preoccuperei se Vendola volesse rapporti più stretti con me...».
 
Proprio lui che disse: «La commissione sulle banche è inutile. È solo demagogia, propaganda, pressapochismo», di quella commissione diventò presidente. Immaginate il militante tipo di Avanzi - comunista con tessera Arci, saggi sulla parità di genere e classici marxisti in libreria - che si sveglia dal coma (come nella nota gag di Corrado Guzzanti), dopo essersi addormentato quando Casini sollevava la mano di Silvio Berlusconi per portarlo in trionfo; «Berlusconi è il più intelligente di tutti noi perché ha due cervelli. Ragionano, a volte sconnessi, ma quando si connettono è invincibile!». Immaginatelo cercare sulle liste elettorali del suo seggio l'amato simbolo del Pd, e scopre solo allora che il suo candidato di collegio. Casini, è quello che gridava: «Mi fermano dappertutto per dirmi: "Tenete duro, non mollate!". Dopo cinque anni di demonizzazione da parte del centrosinistra, metà del paese è con noi». E concludeva: «Ha ragione Berlusconi se si votasse la gente ci darebbe la maggioranza!». Non è un caso che Matteo Renzi, suo sponsor di oggi, gli avesse dedicato un cartello nella sua prima campagna delle primarie: «Se vince Renzi no a Casini». Profetico. Va detto, ovviamente, il problema di coerenza non è di Pier: lui è da sempre doroteo, estroverso e simpatico, forlaniano, tìpico democristiano di destra cresciuto alla scuola di suo padre e del suo maestro politico, il deputato Giovanni Elkan, che elogiò nell'orazione funebre dicendo: «Era un anticomunista cristallino!». Casini nel 1994 fondò l'Udc in odio alla Dc martinazzoliana. Casini è l'uomo che con il sorriso sulle labbra raccontava al settimanale Chi: «Mia figlia ama un comunista, cosa devo fare?». E subito dopo: «Scherzo: il ragazzo è giovane, con il tempo capirà con chi schierarsi». Casini è quello che scandalizzò D'Alema con frasi bossiane sui boat people da cannoneggiare: «Contro chi sbarca sulle coste italiane centinaia di immigrati dobbiamo sparare!». Il «líder máximo» era sconcertato: «Davvero lo ha detto? Non mi pare ne Cristiano ne Democratico». E lui: «La vera anomalia italiana non è Berlusconi, ma Forlani ai servizi sociali e D'Alema a palazzo Chigi! Rispetto a questo, la proprietà di Mediaset è un piccolo e trascurabile dettaglio». Lo stesso Casini raccontò sorridendo del suo idillio con il Cavaliere: «Berlusconi mi ha chiesto di fare il leader di Forza Italia. Gli ho risposto: vengo solo quando smetti di fare politica». Un Natale cantò con lui O' suordato 'nammurato (mentre suonava Apicella) : divenne il primo delfino azzurro, fece in tempo a rompere l'alleanza con il Cavaliere («Chi dice che andiamo da Berlusconi è ri dicolo») e a recuperarla («Sì, torno con lui»). Nel 2007 si ribellò definitivamente: «Berlusconi tratta gli alleati come un padrone del Settecento gli schiavi». Il militante ex comunista bolognese risvegliato, apprendendo tutto questo, preferirebbe tornare in coma che votarlo. Oggi, poi, scoprirebbe che dalle liste del Pd sono stati eliminati minnitiani come Latorre (il ministro dell'Interno non ha votato le liste), l'ultimo dei lettiani (Meloni), metà degli orlandiani, la sinistra (Cuperlo si è sottratto per non essere paracadutato presidente della Commissione diritti Umani Manconi, e persino gentiloniani come Realacci. In fondo Casini «il partito d Nazione» lo teorizza da anni: il problema chi nel Pd deve votarlo. Perché Casini non è (come fu per Lamberto Dini) un rospo da favola che baciato dalla principessa si tramuta in principe. Ma un ex principe del centrodestra che trasforma in rospo democristiano chiunque lo baci.

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