di Barbara Pollastrini, deputato Pd
Dissentire dalla posizione del proprio gruppo, almeno per me, non è mai una decisione facile. L’ho fatta con dispiacere anche per il rispetto verso colleghe e colleghi che stimo. Non mi piacciono sciabolate e scomuniche a chi la pensi diversamente, preferisco il dubbio e il dialogo. In questo caso sul piatto della bilancia tra gli esiti di una diplomazia già sperimentata e una minima speranza, il mio pendolo ha privilegiato le ragioni dei diritti umani. Di speranza c’è bisogno in questo mondo di caduta di certezze e ideologie, o forse meglio dire di idee forti, mentre un virus irrompe col suo dramma di diseguaglianze e povertà. Vedevano lungo pensatori e pensatrici che qualche anno fa, nel trionfo delle ricette economiche e sociologiche più egemoni, dichiaravano come ultima utopia universale la difesa intransigente del valore della persona a partire dai diritti umani delle donne. Utopia è una parola difficile, talvolta ostica per il linguaggio della politica più disponibile alla necessità del male minore. Il fatto è che anche di realismo ci si può ammalare. Dopo che l’Italia aveva sottoscritto il memorandum con la Libia, violenze e torture sono proseguite con l’aggravante che la guardia costiera ha ricondotto in quei campi orribili, centinaia di donne, minori, uomini che, affidandosi a cinici trafficanti di corpi, credevano di imboccare la strada della salvezza.
So che la ministra Lamorgese ancora ieri chiedeva il potenziamento dei corridoi umanitari, lo svuotamento dei lager e che la volontà è una futura modifica dell’accordo. Però queste richieste sarebbero più credibili se il Ministro Di Maio, anche come atto di ripensamento sul precedente governo, avesse spinto per tempo per il superamento dei decreti Salvini. Perché resta immediata la responsabilità di un Paese con la nostra storia di guerre e liberazioni, di mettersi al riparo da cooperazioni spinose e in qualche modo legittimare chi si macchia di crimini odiosi. È un tema che investe l’intera Europa. In Libia come in Egitto, paese che da quattro anni si sottrae alla ricerca della giustizia per mandanti ed esecutori dell’omicidio di Giulio Regeni. A quel regime si è ritenuto di cedere due fregate militari per esigenze commerciali e strategiche e ciò è avvenuto mentre Patrick Zaki da cinque mesi è detenuto senza motivo in un carcere, e quante altre e altri con lui. Viviamo settimane e giorni doverosamente segnati dal dibattito sul Recovery fund e sulle misure per contrastare una recessione impietosa così da garantire un lavoro e opportunità ai tanti che oggi ne hanno bisogno. Al Consiglio Europeo in corso a Bruxelles, nonostante ostacoli e difficoltà, si apre un grande spiraglio che è in sé anche un riconoscimento alla scelta del PD di fare nascere questo governo per mettere ai margini destre nazionaliste e oscurantiste. Eppure anche questo non basta se manca una visione del Continente che recuperi la marcia giusta della storia attorno ai principi più sacri per le virtù laiche e dei credenti, il valore simbolico e concreto della dignità della persona e del suo benessere. Un esame di coscienza per l’intera Unione dove siedono anche gli Orbán e i Duda delle restrizioni e delle discriminazioni odiose nei confronti di gay, migranti, giornalisti. Ci sono i cosiddetti “frugali” delle libertà e della solidarietà umana insieme ai fautori tardivi del rigorismo. Talvolta si mescolano e il capitombolo può farlo la democrazia. Allora, che bella un’Italia che voglia essere guida per la primazia dei diritti umani e della pace evitando di ridurre ogni aspetto ai soli interessi e guadagni. Lo so, non è facile unire popoli e sentimenti quando crisi e bisogni bussano, ma in fondo perché non scommettere che una generazione di giovani e ragazze possa riuscire dove altri non sono riusciti? Un fine intellettuale, Bruno de Finetti, ha scritto “occorre pensare in termini di utopia, perché ritenere di poter affrontare efficacemente i problemi in maniera diversa è ridicola utopia”.
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