di Angela Mauro - Huffingtonpost.it
Vico Equense - Squali gattucci, aquile di mare, tonni, cernie, banchi di sardine come nuvole sott’acqua, gorgonie, spugne. Chi fa immersioni al Banco di Santa Croce conosce questa lista a memoria e sa che è anche più lunga di così. Situata a meno di un miglio da Punta Capo d’Orlando, formata da guglie disposte in circolo con al centro una depressione di oltre 40 metri, questa Zona di tutela biologica sulla costa tirrenica campana è ricca di una biodiversità eccezionale che non ti aspetteresti di trovare in un’area così densamente popolata. Ma da qualche tempo questo piccolo paradiso rischia di sparire dalle rotte dei subacquei che amano immergersi nel Mediterraneo. Il comune di Vico Equense ha approvato un regolamento che limita le immersioni ai soli weekend. Motivo? La salvaguardia dell’ambiente che verrebbe messa a rischio dall’attività subacquea. Incredibile. Questa storia è un esempio di ambientalismo strabico, che punta al bersaglio sbagliato. Nel mirino ci finiscono i subacquei che invece sono di fatto custodi della tutela ambientale, occhi contro la pesca di frodo, mani che spesso operano sott’acqua per liberare i fondali dalle reti dei pescatori, che al Banco non dovrebbero operare in quanto Zona di tutela biologica dal ’93 e che invece operano eccome, ogni tanto beccati dalla Guardi costiera, molto più spesso non intercettati.
Nell’autunno scorso, un’ordinanza dello stesso comune aveva ridato fiato all’attività subacquea al Banco di Santa Croce, liberalizzandola. Tra le motivazioni, uno studio dell’Università Federico II di Napoli, le cui conclusioni sono chiare: i subacquei fanno bene all’ambiente perché sono sentinelle del rispetto dei fondali. Nemmeno questa ordinanza ha retto. Ad anno nuovo, si è tornati al punto di partenza: immersioni solo nel weekend. Tra le iniziative che hanno portato a questo risultato, un’interrogazione parlamentare presentata dal M5s al Senato a settembre dello scorso anno che contesta l’ordinanza del comune: permettendo immersioni tutti i giorni, si aumenta il numero dei subacquei al Banco da “72 a 432 settimanali”, è la denuncia. Ma se l’obiettivo è davvero quello di tutelare l’ambiente, il bersaglio è sbagliato. Basti vedere come è regolamentata l’attività subacquea in altre aree marine protette. Quella più antica a Ustica, istituita nell’86, ha aree dove le immersioni sono vietate, altre in cui sono limitate a un certo numero di subacquei per volta, altre ancora in cui sono consentite sempre, ovviamente nel rispetto dell’ambiente che per un subacqueo è la prima preoccupazione. Il regime è più o meno lo stesso nell’area marina protetta di Portofino, istituita nel 1999: ci sono zone interdette alle immersioni, ma in quelle dove ci si può immergere non ci sono limitazioni su alcuni giorni a settimana. Rispetto a queste aree, il Banco non è nemmeno area marina protetta, ma solo Zona di tutela biologica, essendo stata esclusa, senza chiare ragioni, dal vicino Parco di Punta Campanella. Limitare l’attività subacquea significa mettere in crisi i diving di zona, che generano un considerevole indotto per hotel e ristoranti. Soprattutto significa eliminare presenze sgradite a chi considera il Banco un acquaio per gettare reti e pescare, incuranti dei divieti. Sarebbe il trionfo dell’ambientalismo: sì, quello strumentale, di propaganda staccata dalla realtà che, ça va sans dire, non risolve i problemi, anzi rischia di aggravarli in maniera davvero colpevole.

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