Non c'è dubbio, gli spaghetti alla Nerano sono il piatto dell'estate. Cucinati dallo chef Fabrizio Mellino di Quattropassi erano al centro del banchetto di matrimonio di Jeff Bezos e Lauren Sanchez, forse convinti a ciò anche dalla pubblica dichiarazione d'amore di Tom Hanks nella notte degli Oscar 2016. «È il mio piatto del cuore», disse l'attore, elogiando la semplicità di zucchine formaggio e basilico. Leggenda vuole siano stati inventati per caso da Pupetto Sirignano negli anni 50, ma qui ci interessa ricordare il loro debutto cinematografico. Dove? Ovvio, sullo sfondo della costiera amalfitana. Estate 1960, Vittorio Caprioli gira il suo primo film a Positano. I «Leoni al sole» si chiamano Giugiù, Mimì, Cocò, Scisciò. Sono i cultori del dolce far niente, gli amanti di una perenne «bella giornata» in cui corteggiare le bellezze straniere tra una forchettata e l'altra di spaghetti ai tavoli di Maria Grazia.
Bisognerà pur celebrare in qualche modo questa centralità drammaturgica degli spaghetti nel cinema. Basti dire che hanno persino creato un genere, lo spaghetti western, nati negli anni 60 dal genio di Sergio Leone e diventati locuzione universale.
Casualmente, le due scene più famose nella storia cinematografica degli spaghetti sono entrambe del 1954. La prima è la sequenza di «Miseria e nobiltà», film di Mario Mattoli, in cui i membri della famiglia di Felice Sciosciammocca si lanciano sulla spaghettata fumante azzuffandosi e Totò a mani nude mangia gli spaghetti e se li mette pure in tasca.
Nello stesso anno Nando Moriconi, alias Alberto Sordi, pronuncia la famosa frase «Maccherone, m'hai provocato e io ti distruggo!». «Un americano a Roma» di Steno, costruito sul conflitto postbellico tra due modelli di vita, gioca sul grottesco americanismo del protagonista che si avventa sul cibo di casa a fronte dell'immangiabile piatto targato Usa. Un altro che non resisteva alla pastasciutta, nel cinema e nella vita, è Aldo Fabrizi, che in «Un militare e mezzo» di Steno (1960) cede subito e divora tutto in pochi bocconi. Fabrizi era del resto un gran cultore della pasta, autore anche di ricette di tradizione romana.
Sempre negli anni 50 la «Domenica d'agosto» di Luciano Emmer filma la vita proletaria di una famiglia intenta a mangiare spaghetti nel capanno in riva al mare. E ancora nel mitico «Totò, Peppino e la Malafemmina» di Camillo Mastrocinque (1956) i due attori appena arrivati a Milano per sorvegliare il nipote Teddy Reno tirano fuori dalla valigia spaghetti e caciocavallo portati da Napoli.
Festeggiano a tavola la loro «reunion» i tre amici ex partigiani ritratti da Ettore Scola in «C'eravamo tanto amati» (1974). Tra i rimpianti per gli ideali perduti e il cinico realismo in cui ormai navigano Vittorio Gassman, Nino Manfredi e Stefano Satta Flores si ritrovano a tavola «Dal re della mezza porzione», incrociando le forchette piene di maccheroni e facendo il bilancio fallimentare della loro generazione. Anche qui, lo spaghetto si trasforma in testimonianza collettiva, il simbolo di un certo modo di essere italiani.
Ci sono un po' tutti i sapori della cucina tradizionale nel grande affresco «Roma» di Federico Fellini (1972), ma tra le grandi mangiate di cui ci pare quasi di sentire i profumi spiccano gli spaghetti cacio e pepe. Mentre sono i bucatini all'amatriciana i protagonisti di «Il Divo» di Paolo Sorrentino (2008), in una sequenza in cui Giulio Andreotti con la moglie Livia appare davanti al suo piatto preferito.
Intenso e commovente lo spaghetto al sugo di carciofi preparato da Massimo Troisi nel suo ultimo film «Il Postino» (1994). Nel ricordare l'amico poeta Pablo Neruda tornato in Cile, Mario prepara nella cucina dell'osteria di famiglia il suo piatto preferito, trovando una metafora poetica per ciascun ingrediente. Carciofi vestiti da guerrieri, pomodori rosse viscere, aglio avorio prezioso.
Sapori che sollecitano la memoria, sapori che ci aiutano persino a riscoprire noi stessi, così accade a Julia Roberts in «Mangia, prega, ama» (2010) mentre gusta un piatto di spaghetti al pomodoro e basilico in un ristorante di Roma. Sapori che ci avvicinano e ci fanno scoprire l'amore nella deliziosa sequenza di «Lilli e il vagabondo», capolavoro disneyano del 1955, in cui Lilli, cockerina di buona famiglia, s'innamora dello spinone Biagio davanti a un piatto di spaghetti con le polpette. La scena più romantica davanti a un filo tenero, lo spaghetto galeotto che si gusta in due fino al bacio. Sapore da dimenticare quello degli spaghetti che Jack Lemmon scola usando una racchetta da tennis ne «L'appartamento» (1960) e poi (orrore!) li sciacqua
Un discorso a parte merita il piatto di ziti al ragù di «Sabato, domenica e lunedì» diretto da Lina Wertmuller (1990). Perché donna Rosa-Sophia Loren tiene una vera lezione alle signore in salumeria su modi, tempi e materie prima da utilizzare per il vero ragù napoletano. Uno dei segreti è la cipolla, che non va mai cotta separatamente. L'esatto contrario del piatto di pasta che Checco Zalone è costretto a gustare all'estero in «Quo vado» (2016). Checco chiede al ristoratore la ricetta, rabbrividisce, poi ordina per secondo «un cacciavite e una scala» con cui staccherà l'insegna «Ristorante italiano». La sequenza si chiude con lo slogan «Non si scrive l'Italia invano».

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