domenica 4 settembre 2016

Natura morta

Natura morta di Francisco de Zurbaràn 1633

di Filomena Baratto

Vico Equense - Stamattina corre in me una voglia di rappresentare limoni, costruirne i confini col pennello, racchiudere il giallo in un contorno come il sole a mezzogiorno. Ne ho nel cesto in mezzo al tavolo, un po’ sparsi per i piani di cucina, ne ho negli occhi pensando all’alberello cresciuto accanto alla scala di cemento nell’orto di mio padre, ne ho ricordando quest’estate che corre via, con la sua eterna forma e colore, con le foglie sempre verdi, con tutti gli altri agrumi, con la loro asprezza, in quest’aria settembrina. ”Nell’ombra di un giardino c’è il limone coi rami polverosi, e limoni d’un giallo impallidito nello specchio dell’acqua della fonte”, dice il poeta Antonio Machaco. Vorrei una casa di libri e di limoni, tanto giallo sparso ovunque, tanta luce. In Cina ci fu chi scrisse qualcosa del genere: ”Mio Dio, dammi nella vita una casa piena di libri e un giardino con tanti limoni”. Il giallo di questi frutti scaccia via ogni cattivo pensiero e inietta il sole nelle vene.
 
C’è qualcosa di sacro in questo colore, che emerge come un trofeo da qualsiasi grafica o pittura, qualcosa che evoca qualcos’altro, come il dipinto di Francisco de Zurbaràn (1598-1664) , Natura morta del 1633. Ha tutte le caratteristiche della pittura del Caravaggio da cui il pittore trasse il tipo di luce, le ombre, il realismo, influssi ripresi attraverso il Ribera e il Velasquez che ne portarono in Spagna gli echi, dopo aver visitato l’Italia. Il Zurbaràn non si spostò mai dalla sua terra, ma seguì Caravaggio nei colori, quasi ne ripercorse lo stile, il nitore formale, la solennità, tale da avere un confronto con la Canestra di frutta del Merisi. Il dipinto è una poesia, lo sguardo tesse parole sul silenzio degli oggetti e lo splendore del colore. L’opera è costituita da un mistico trio di cose, su un tavolino lucido, su cui spicca il colore dei cedri, la cesta con le arance e i suoi fiori a cornice, un cappello floreale in un cesto di vimini e una rosa posta in un piattino con una tazza piena. Tutte le tonalità di giallo dal cadmio allo zinco, giallo indiano spiccano come non mai. E’ il colore del sole ma anche della fertilità, colore regale. In tutte le religioni il giallo associa l’oro, la luce e la parola. E’ anche il colore della concentrazione, della paura, e dell’ansia. Il giallo, così come il sole, accelera il metabolismo. Nel dipinto, l’intensità del colore è bloccato nella sua massima espressione, accentuata dal metallo dei piatti e dallo sfondo scuro, tanto da credere che emergano dalla tela come un’offerta sacra. Una visione mistica e ascetica del dipinto induce a credere che possa trattarsi di un’interpretazione della Trinità, ma senza alcuna prova in tal senso. Cedri e arance da cui risalta la freschezza degli agrumi, il profumo dei fiori d’arancio e ancora la palpabile acqua, con tocco ancora più freddo. Un silenzio avvolge la natura morta, che si rompe con l’intenso giallo quando gli occhi si appoggiano sui frutti e ne danno la forma al tatto. Quei cedri scivolano tra le nostre mani, possiamo con le dita accarezzarne l’ondulata e lucida scorza. La giusta dose di ombre dallo sfondo e dal tavolo donano ancora più intensità alla luce. C’è in questo dipinto una natura non morta, ma viva, che palpita e di cui ne presagisci l’evolversi, la vitalità senza fine, posta soprattutto nei fiori che preannunciano la nascita di altri frutti, raccontandoci del suo sbocciare generoso, a più riprese. Ed è proprio così che i nostri limoni arricchiscono i giardini, frutti eterni che mai mancheranno, saranno sempre lì, tra le foglie sempre verdi, eterni, a voler dire che la vita non muore mai. E lo afferma il Tasso nella Gerusalemme Liberata descrivendo i giardini di Armida:” coi fiori eterni eterno frutto dura,/ e mentre spunta l’un, l’altro matura”. Ma non si possono omettere i versi di Goethe diventati espressione eterna della nostra terra :”Conosci il paese dove nascono i limoni?/ Nel verde fogliame splendono arance d’oro/ Un vento lieve spira dal cielo azzurro/ Tranquillo è il mirto, sereno l’alloro/ Lo conosci tu?/ Laggiù, laggiù/ vorrei con te, o mio amato, andare! Una tela riesce a tirar fuori emozioni è in questo gioco di contenuti e forme con cui il pittore imbastisce e srotola sensazioni, ricordi, bellezza, evoca versi, modella il gusto e arricchisce il pensiero, senza soluzione di continuità. Davanti a una tela potremmo soggiornare per ore, ci sarà sempre un dettaglio che ci sfugge e che ci parlerà meglio di tante parole, creerà tanti altri mondi dentro di noi. I cedri, le arance, la rosa e l’acqua (caffè) del Zurbaràn sono una miscela di emozioni senza fine.

Nessun commento: