sabato 10 agosto 2024

Cannavacciuolo torna nella sua Ticciano. E si mette in cucina: «A mio agio con gli attrezzi da pesca come ai fornelli»

Lo chef interviene anche sull'apertura della pizzeria di Briatore a Napoli: «Ragiono da imprenditore, darà lavoro ad almeno 60 persone. Chi lo critica non vuole vedere la realtà».

di Gimmo Cuomo - Il Corriere del Mezzogiorno 

Vico Equense - Al tramonto le rondini si lanciano in picchiata verso la superficie della grande piscina a sfioro. All’improvviso cambiano traiettoria e accarezzano l’acqua a volo radente. «Ma quante sono? In genere sono 6 o 7. Stasera sono una trentina, anche di più. Sai perché si bagnano il petto? Perché con l’acqua intercettano la terra che utilizzano per costruire il nido». Antonino Cannavacciuolo è tornato a casa sua a Ticciano, («un luogo unico, con un’energia speciale», sottolinea con orgoglio) sulle colline di Vico Equense, per qualche giorno di vacanza. Ma stasera non riposerà. Per la prima volta cucinerà nel suo resort Laqua Countryside, al fianco del proconsole Nicola Somma che ha ripagato la fiducia conquistando la stella Michelin pochi mesi dopo l’apertura del ristorante nell’estate 2021. Prima di entrare in cucina, si intrattiene a bordo piscina, dove ci sono, oltre allo stesso Somma anche il padre Andrea e l’altro pilastro della struttura, il direttore Eduardo Buonocore. Chef, cucina a casa. Un minimo di emozione? «Sì, cucino a casa mia, ma soprattutto, a parte Nicola, con altri ragazzi che sono stati da me a Villa Crespi (il quartier generale di Cannavacciuolo, sulle rive del lago d’Orta, segnalato con tre stelle dalla guida Michelin, ndr). Per me sono i migliori. Stasera, dunque, è un ritorno in famiglia, non solo in quella di origine, ma anche in quella lavorativa di Orta San Giulio. Quindi, sì, un po’ di emozione c’è. Sai, dei ricordi sono indelebili: proporremo alcuni piatti storici di Villa Crespi, altri di Nicola e qualcuno creato per l’occasione».

 

Come nascono i suoi piatti? «Sono più di trent’anni che lavoro. E in trent’anni ci sono stati tanti errori. Ma ormai le spalle sono larghe, ti rendi conto di cosa e perché hai sbagliato» (Lo chef indica il paesaggio circostante, la vegetazione, il sole che prima di sparire spande nel cielo azzurro e indaco gli ultimi intensi bagliori infuocati). «Vedi anche questo è un piatto, è un quadro, è la tavolozza di un pittore. L’esperienza che hai ti consente di dosare gli elementi, di immaginare l’abbinamento giusto, il corretto grado di acidità. Alcune associazioni ormai vengono spontanee. Per me è come vedere un pennello che si sposta su una tela bianca, sulla quale si getta la sabbia. E, quando quest’ultima viene rimossa, resta un’immagine. Il piatto è il frutto di un percorso, della genialità, del rapporto con gli ingredienti e dell’ascolto del cliente». Vico Equense è terra di chef. Che ruolo ha avuto l’istituto alberghiero De Gennaro dove ha insegnato suo padre? «C’erano insegnanti che erano grandi professionisti del settore culinario, avevano le proprie brigate. In quel momento storico erano i migliori sulla piazza. Da loro ho ricevuto insegnamenti importanti. Poi c’è stato il percorso che ogni ragazzo deve fare. Io ho lavorato in hotel lussuosi e, solo dopo, ho conosciuto la cucina stellata. Per due o tre anni pensavo di aver perso tempo negli alberghi. Oggi con la maturità capisco che invece quell’esperienza è stata molto importante. In quegli anni ho visto e manipolato i prodotti migliori. Oggi in cucina arrivano materie prime quasi completamente pulite. In quegli anni le mani dei cuochi erano rovinate: si dovevano sfasciare i cosciotti, i carré». Lei è un predestinato. Ma se non avesse fatto lo chef? «Ho un’enorme passione per il mare: sto bene in cucina così come a contatto con qualsiasi attrezzatura per pescare». Sul lago continua a pescare? «Sì, mentre qui praticavo molto la pesca subacquea, quando sono andato su mi sono specializzato con le canne. Ma per fare qualsiasi cosa bisogna studiare: i tipi di lenza, gli ami, le esche». Cosa mangia in estate? «Tanto pesce e tanta verdura, i pomodori, i peperoni. Seguo molto la stagionalità, il mio corpo ne ha bisogno, la richiede: se in questo momento mi metti davanti le cime di rapa, mi viene il rigetto». Per quale piatto impazziva da piccolo? «Per ogni piatto buono. Mi capisci? Se mi cucinavano gli spaghetti col pomodoro ero il ragazzo più felice del mondo. Quando, durante il servizio militare, tornavo in licenza, chiedevo sempre la pasta e fagioli. E poi il cozzetiello col ragù, il panino con la parmigiana di melanzane» (Si inserisce Somma: «A me faceva impazzire soprattutto il pollo al forno». «Quello lo mangeremo domani». «No, domani la pezzogna». «Come la pezzogna? Ma va bene uguale»). Sua moglie, che se non erro è vegetariana, cucina? «Ora si sta allenando a mangiare anche pesce e carne. Non è che Cinzia cucina. Ama prendersi cura di chi ama. E anche se non ha il dono innato di cucinare, ci prova. Comunque riesce a prepararti una cena, mettendo insieme gli ingredienti con amore, il più grande ingrediente di una ricetta». Lei si è affermato al Nord. Consiglierebbe a un ragazzo del Sud lo stesso percorso? «Più giri, più esperienza butti in valigia. Quando sono andato via, qui da noi un ragazzo non aveva possibilità di fare un grande percorso di crescita. A parte Don Alfonso chi c’era? Oggi c’è ancora Don Alfonso, ma ci sono pure i Quattro Passi, Gennaro Esposito, lo stesso Nicola. Consiglierei, dunque, a un giovane ambizioso di fare prima un’esperienza in Campania e poi una scappata di un paio di anni al Nord o all’estero per acquisire apertura mentale». La pizza gourmet: un controsenso, uno slogan, cosa? «Si sta parlando molto di pizza. Sono contento. Che poi sia gourmet, sia napoletana, sia nel tegamino, poco importa. L’importante è che sia buona. Dieci anni fa c’era monnezza sulla pizza. Non si poteva mangiare. E se la mangiavi, quando ti mettevi a letto vedevi i fantasmi che uscivano dall’armadio. Oggi tutti utilizzano il migliore olio, i migliori latticini, i migliori pomodori». L’apertura della pizzeria di Briatore a Napoli? «Ragiono da imprenditore. Per prima cosa, darà lavoro ad almeno 60 persone, pagandole bene. Da lui non si andrà solo per mangiare la pizza. Tutti parlano dei prezzi, ma Briatore non ti darà solo la pizza: ci saranno lo show, il servizio, il dj. Si dovrebbe invogliarlo a investire a Napoli, non mettergli i bastoni tra le ruote. È un imprenditore di livello mondiale. Chi lo critica non vuole vedere la realtà. Non toglierà clienti a nessuno. Ma incentiverà altri personaggi come, che so Gordon Ramsey, ad aprire. Io ho aperto qui: oggi non si trovano più case; una che un tempo valeva 100 mila euro ora ne vale 250 mila».

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