sabato 25 gennaio 2020

Venerati a Vico Equense due Santi Protettori orientali

Sfileranno per le vie di Vico Equense le statue dei Santi Ciro e Giovanni, trasportati dai pescatori a piedi nudi

di Salvatore Ferraro

Vico Equense - Come è ormai consuetudine secolare, alla fine di gennaio si celebra a Vico Equense la festa dei Santi Patroni Ciro e Giovanni, le cui statue sono trasportate per le vie principali della città, seguite da una folla accorsa dai tredici casali di Vico Equense e dai paesi vicini per invocare protezione sulle proprie famiglie, chiedere la guarigione dai mali spirituali e fisici e rendere grazie o appendere exvoto (per lo più di carattere anatomico). Il culto dei Santi Ciro e Giovanni è diffuso da secoli in tutta l’area napoletana, in particolare a Napoli ed a Portici, oltre che a Vico Equense, ma non tutti conoscono la storia di questi due Santi, i quali, accomunati dalla fede e dal martirio, vissero nel IIIIV secolo dopo Cristo ad Alessandria d’Egitto, una celebre ed importate città fondata da Alessandro Magno ( 332 a. C.). San Ciro ( nome greco che significa “potente, signore”), nato verso l’anno 250 d. C., percorse un brillante curriculum di studi ed organizzò successivamente un attrezzato ambulatorio, in cui accoglieva gli ammalati, prestava le sue cure a tutti, ricchi e poveri, ma per questi ultimi, a cui non richiedeva alcuna ricompensa, aveva predilezione particolare, per cui si meritò l’appellativo di anàrgiro, cioè “senza denaro, che non accettava denaro, gratuito”. In breve tempo diventò il medico più conosciuto e valente di Alessandria d’Egitto, che curava non solo i corpi, ma anche le anime, giacché aiutava gli uomini a liberarsi dai mali spirituali. Molte furono allora le conversioni operate da San Ciro, il che gli attirò l’inimicizia di altri medici e avversari, che ben presto lo denunciarono a Siriano, prefetto della città. Costretto a scappare, preferì da allora in poi vivere in regioni desertiche, dove, attirati dalla sua fama di santità e dai miracoli operati, lo seguirono numerosi giovani, tra cui Giovanni, un soldato nativo di Edessa in Siria.
 
Dopo alcuni anni di vita comunitaria Ciro e Giovanni, venuti a sapere che l’imperatore Diocleziano aveva scatenato una terribile persecuzione contro i cristiani e che nella città di Canòpo (in Egitto) erano state arrestate tre giovani fanciulle, Teotista, Teodota ed Eudossia, con la loro madre Attanasia, lasciarono il deserto e vennero in aiuto delle quattro donne per incoraggiarle ed esortarle a proclamare la loro fede cristiana. Riconosciuti e denunziati, furono condannati alla pena capitale assieme alle donne e furono decapitati il 31 gennaio del 303 dopo Cristo. I loro corpi furono trasferiti nella basilica di San Marco Evangelista in Alessandria, poi nella località di Menuthis ad opera di San Cirillo, vescovo di Alessandria (376-444). In seguito all’invasione araba, le reliquie dei due santi furono prima trasferite a Costantinopoli, poi a Roma, dove già fioriva una colonia di Alessandrini. A questo santuario giungevano pellegrini ed ammalati da tutto il Medio Oriente. Il culto si diffuse ben presto anche a Napoli, come testimonia il Calendario Marmoreo del IX secolo, conservato nel Palazzo Arcivescovile di Napoli, in quanto gli scambi commerciali e culturali tra i Napoletani e gli Alessandrini erano molto intensi. Da allora sino ad oggi, per oltre un millennio, il culto ai due santi, in particolare a San Ciro, non è venuto mai meno, anzi si è diffuso nel Napoletano e nell’Italia Meridionale. I nostri antenati commerciavano con Napoli e con i paesi della costiera amalfitana, dove il culto era già diffuso, e certamente il culto di San Ciro, prima poco noto, dovette subentrare a qualche culto locale pagano. Sino al 1400 non abbiamo notizie sulla diffusione del nome di San Ciro o sul culto del Santo a Vico Equense, segno che non si era ancora imposto fortemente e radicalmente nel tessuto cittadino. Nel 1486 il notaio vicano Regnabile Palescandolo indicava una piccola cappella, patronato di alcune famiglie vicane, dedicata ai SS. Ciro e Giovanni e situata al di fuori delle mura cittadine; il vescovo Tolomeo Pentangelo (1494-1520) agli inizi del 1500 li definiva “patroni e protettori della città di Vico Equense”; il vescovo Paolo Regio (1583-1607) si lamentava che i Vicani, pur nutrendo viva devozione nei loro confronti e pur avendoli scelti da tempo per patroni principali, non sapessero nulla della loro storia (di cui scriverà la vita). Fino alla fine del 1600 non si conservavano a Vico Equense reliquie dei due santi, le quali per volere del padre gesuita San Francesco da Geronimo furono donate alla nostra città il 5 maggio 1686, al tempo del vescovo Giovan Battista Repucci (1657-1688). Il notaio riferisce che, “essendono hore 17 in circa detto Ill.mo Vescovo, una con il clero e il Capitolo e tutte le confraternità e religiosi, calorno alla marina dove li’ marinai di quella avevano eretto un bellissimo altare e nella marina stava squadronata la Compagnia con apparata di molti mortaretti, e nell’apparire di una felluca della medesima marina, il detto Ill.mo Vescovo salì sopra detto ponte con altri canonici e dignità e fe(ce) chiamare me predetto notaio …Et essendo sopra detto ponte approdata la mentionata felluca (piccola nave) con il Reverendo Canonico Don Antonio Iannello, et diacono Gaetano Cioffi il detto canonico D. Antonio, preso nelle sue mani una cascetta tutta guarnita di argento lavorato, e chiusa e legata con una zagarella in croce con otto sigilli fatti con cera di Spagna, e tenendola nelle sue mani proruppe il silentio in questo modo: Ill.mo Signore, li Reverendi Padri della Compagnia di Gesù di Napoli donano a V.a.Ill.mo queste reliquie dei santi Ciro e Giovanni riposte dentro questa cascettina, delle quali ne ferno il presente istrumento di donazione et anco questa è la testimonianza e dichiarazione del Reverendissimo Don Francesco Verde Vicario Capitolare della fidelissima Città di Napoli d’aver pigliato dette reliquie dalli reliquarii e Corpi Santi di S. Ciro e S. Giovanni che si conservavano in detta Venerabile Chiesa della Compagnia di Gesù. Quale cascettina riposta da Monsignor Ill.mo sopra detto altare l’aprì e dentro vi erano due cartoni involti uno con la scritta dittante “Santo Ciro” e l’altro con la scritta dittante “San Giovanni”. Il Vescovo Repucci per ricordare questo avvenimento ottenne dalla Santa Sede di celebrarne ogni anno l’anniversario, prima in maggio poi nel mese di luglio ed infine nella quarta domenica di agosto, come avviene tuttora. Le reliquie autentiche dei due Santi sono ora collocate parte in un cassettino con vetro sotto il busto d’argento di San Ciro, una pregevole opera di autore ignoto del XVII secolo, parte in due reliquiari d’argento. Entrambe sono mostrate alla venerazione dei fedeli il 31 gennaio di ogni anno e portate in processione per le principali vie della città, che da oltre quattro secoli le venera ed ha celebrato nel 2003 il 17° centenario (303-2003) del glorioso martirio dei due martiri, prescelti dai nostri antenati quali santi patroni. Il busto – reliquiario di S. Ciro costituisce una delle opere più prestigiose dell’argenteria napoletana della fine del 1600 ed inutili sono stati finora i tentativi di individuare l’autore e l’anno della realizzazione dell’opera, che peraltro risulta poco nota agli studiosi, in quanto da secoli viene esposta solo durante il triduo e la processione di fine agosto. Ho sollecitato gli archivisti del Banco di Napoli, ma finora le ricerche sono risultate infruttuose. In via preliminare, bisogna annotare che l’opera, attentamente esaminata, risulta priva di punzonatura, che fu resa obbligatoria solamente dal gennaio 1690 con una prammatica del Vicerè Francisco de Benavides conte di Santisteban. Come già riferito, il Vescovo Repucci il 5 maggio 1686 accolse alla marina di Vico le reliquie di S. Ciro donate dai Padri Gesuiti di Napoli, che il 13 giugno 1691 il nuovo Vescovo Verde collocò nella base sottostante. Pertanto il busto d’argento di S. Ciro deve essere stato realizzato nei primi anni (1688- 89) dell’episcopato di Francesco Verde (1688-1700). Il Vescovo nella sua relazione ad limina (al Papa) del 1692 dichiara di aver fatto realizzare una statua d’argento “pro sancto Ciro àffabre (=con maestria) et grandis elaborata constructa”. Infatti il busto di S. Ciro è una delle tante opere realizzate a Napoli e nel Sud da eccellenti artisti con la consueta tecnica, cioè la testa e le mani sono fuse, mentre il resto della figura è realizzata a sbalzo. Probabilmente, date le particolari caratteristiche, fu eseguito sicuramente su un modello del notissimo argentiere Lorenzo Vaccaro (1655-1706), autore di prestigiose opere. Il Santo martire alessandrino ed eremita, dotato di una folta barba, ha gli occhi rivolti verso il cielo e un’aureola sul capo; inoltre non riveste, come al solito, l’abito monacale, ma ne indossa uno arabescato e regge con la mano sinistra la palma (simbolo del martirio) e un libro, su cui poggia una piccola veduta urbana di Vico Equense, cinta dalle mura trecentesche (si notano nel centro la porta- torre e vari edifici civili e religiosi) a testimoniare la protezione del santo patrono sulla città. L’opera di raffinata bellezza e di forte vigore plastico era un tempo conservata segretamente dalle suore del Monastero della SS. Trinità. Invece il busto di San Giovanni, in legno argentato, è stato eseguito recentemente (nel 1999) dalla ditta Breglia di Vico Equense. Il 31 gennaio prossimo sfileranno per le vie di Vico Equense le statue dei santi Ciro e Giovanni, realizzate in legno e cartapesta (secc. XVIII – XIX), trasportate dai pescatori locali a piedi nudi ed accompagnate dagli amministratori locali, associazioni religiose, confraternite, preti e fedeli della città di Vico Equense e dei paesi vicini.

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