giovedì 28 ottobre 2021

Conversazioni mattutine

di Filomena Baratto

Spesso, di mattina, passo a prendere una collega con la quale vado a scuola. Siamo amiche di lunga data. Ricordo la prima volta che ci siamo incontrate, al collegio dei docenti, nella scuola dove ancora oggi ci troviamo. Una nostra comune amica mi parlò di lei descrivendola una persona unica e lo stesso fece con lei, parlandole di me. Quando incrociammo lo sguardo, alla fine dell’incontro, avemmo la sensazione di conoscerci già. La nostra comune collega ci aveva descritte in modo così preciso che ci salutammo come due vecchie amiche che non si vedevano da un bel po’. E’ una donna pratica, essenziale, semplice, vera, con un cuore bambino e una chiarezza di pensiero che disarma. Ci lega una stima reciproca, la capacità di capirci al volo e una sensibilità, di entrambe, notevole. La sua umiltà la rende un esempio per tutti noi che le giriamo intorno. Di carattere è allegra e disinvolta in ogni situazione, ligia al dovere e precisa. Incontrarci di mattina, andando a scuola, è un bel pretesto per fare quattro chiacchiere. Mi pone continue domande, pensando che io abbia una risposta per tutto. Conversiamo per circa un quarto d’ora, che pare un tempo insignificante ma le domande, gli argomenti e la ricerca di risposte, rende questo momento molto interessante. Appena sale in macchina parte la sua prima osservazione. E’ diventata la mia pungolatrice e tutto quello che diciamo mi resta in mente per diversi giorni.

 

Stamattina ero con la radio accesa ad ascoltare Feel di Robbie Williams quando lei, aprendo la portiera e affacciandosi, mi ha chiesto a cosa fosse dovuta la mia allegria. Poi da sola ha risposto che di mattina tutti siamo allegri. Ma io le ho fatto notare che l’allegria può nascondere altri stati d’animo. D’accordo con me ha aggiunto: “Ciò che si vede non è come sembra, le luci emergono dalle ombre”. “E allora spiegami” ha attaccato, “perchè, quando sembra di avere la vita in mano, con tutta l’esperienza accumulata, tanto da poter ricominciare, mettendo in atto quello che abbiamo imparato, dobbiamo invece fare la valigia e partire. E qui mi è piaciuta la metafora della partenza. Le ho risposto che la vita è un mistero e le esprienze individuali non sono la “summa” di tutte le esperienze possibili. Per quanto la conoscenza ci renda preparati, potranno esserci sempre nuove situazioni a coglierci di sorpresa. Quindi la nostra vita non è comprensiva di tutto ciò che potrebbe accaderci o potremmo vivere. Sembra quasi soddisfatta della risposta ma subito mi lancia una nuova sfida chiedendomi perchè nella non riusciamo mai a comprenderci del tutto, siamo diffidenti, individualisti, poco empatici. Le rispondo che ognuno nasconde un fondo insondabile forse anche a se stesso. Pertanto i nostri rapporti saranno sempre precari poichè soggetti ai cambiamenti di ognuno, alle situazioni e agli avvenimenti. Quindi l’amicizia, la vita di coppia sono relazioni in continuo mutamento. La conversazione, a questo punto, diventa interessante e noi, sedute in macchina nel parcheggio della scuola, dove nel frattempo siamo arrivate, cerchiamo di consumare gli ultimi 5 minuti in sagge conclusioni prima di andare a chiuderci nelle rispettive aule. Le altre colleghe ci guardano scendendo dalle auto. Non sanno delle nostre disquisizioni, pensano a normali pettegolezzi. Ma non è il nostro caso. A questo punto mi chiede il motivo delle incomprensioni in qualsiasi tipo di rapporto. La risposta ce la siamo data insieme affermando che la vita è un intreccio tra il bene e il male, con un confine impercettibile. E di seguito il motivo per cui ci priviamo di vivere per mancanza di tempo, presi dal lavoro e da tutto ciò che ci tiene prigionieri ogni giorno. Ci troviamo poi d’accordo sul discorso di dover trovare il tempo per stare accanto alle persone amate, siano essi figli, amici, parenti, invece di correre nelle nostre giornate multitasking. “Ma dove corriamo?”mi ha chiesto. Le ho risposto che nel tempo è cresciuta l’esigenza di lavorare, di avere un’autonomia economica, perchè il lavoro ci gratifica, ci fa sentire utili e indispensabili. L’amore di per sè è gratis e, pur impegnandoci moltissimo, sembra sia invisibile anche agli occhi di chi amiamo. Esso necessita di dedizione, é facilmente attaccabile e, se finisce, ci deprime. Il denaro ci fa progredire e ci dà potere. I sentimenti, di contro, ci indeboliscono e ci rendono succubi, dipendenti. E tuffarsi nel lavoro, vuoi per necessità, vuoi per compensare, diventa un diversivo catartico. Ecco perchè ci lasciamo inglobare dalla fatica con la quale giustifichiamo ogni altra nostra mancanza. Al lavoro non diciamo di no, mentre possiamo sacrificare i rapporti in suo nome. Una volta l’amore scusava tutto, oggi si vive per lavorare e non più per vivere. Ha definito quest’ultima una bella riflessione. Saremmo rimaste a chiacchierare per ore, dimenticandoci anche del telefono al quale oggi diamo più tempo che alle persone. Ed è proprio il breve intervallo a disposizione che sollecita risposte rapide e valide. Solo quando ci apprestiamo a entrare nell’atrio della scuola, abbiamo cominciato a parlare di orari, di alunni, di riunioni. Ma ciò che avevamo sciorinato in macchina era ancora nella testa. Un bel confronto mattutino!

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