Regionali, la scure del Viminale sulla norma approvata ad aprile dal Consiglio: «Impone ai primi cittadini una scelta al buio». Ma già in tre hanno lasciato il Comune
IL CASO
di Adolfo Pappalardo - Il Mattino
Arriva la scure del Viminale sulla legge campana che obbliga i sindaci a dimettersi praticamente entro oggi se vogliono candidarsi alle regionali. «È evidente - scrive l'ufficio Affari legislativi del ministero - che (la norma campana, ndr) è diretta a restringere la platea dei soggetti candidabili alle elezioni regionali, escludendo da essa i sindaci in carica, che sono i concorrenti più probabili, ai quali si impone di operare una scelta al buio». «Con il risultato - viene messo nero su bianco nella missiva del ministero degli Interni protocollata ieri a palazzo Santa Lucia - che le dimissioni non sono orientate al raggiungimento di un fine pubblico che dovrebbe essere quello di espletare il loro incarico e di rinunciarvi solo laddove via sia la certezza di poter concorrere alle liste regionali». È una censura pesantissima, a pochi mesi dalle urne, su cui ora la maggioranza non può non tenerne conto e sarà costretta a prendere provvedimenti urgenti. Anche perché nel frattempo un gruppo di primi cittadini desiderosi di scendere in campo ha già rassegnato le dimissioni. È il caso del dem Giorgio Zinno (San Giorgio a Cremano) e del renziano Ciro Buonajuto (Ercolano) mentre il collega di Casalnuovo, il forzista Massimo Pelliccia, ha scelto un'altra strada: lasciarsi decadere per un contenzioso in atto con il Municipio che amministra. Ma ora, dopo il documento del Viminale, il caos è dietro l'angolo.
LO SCENARIO
A chiedere l'intervento del ministro Piantedosi era stata l'Anci, l'associazione dei comuni, che aveva parlato di «un grave vulnus democratico e una discriminazione ingiustificata nei confronti dei primi cittadini della Campania». A novembre scorso infatti la maggioranza non vara solamente la norma sul terzo mandato per Vincenzo De Luca (poi bocciata dalla Corte Costituzionale) ma fissa anche paletti enormi per le candidature dei primi cittadini: ovvero ineleggibilità se non si rassegnano le dimissioni entro 90 giorni dal voto. Legge che vale anche per chi guida i Municipi con meno di 5mila abitanti, sinora al riparo da qualsiasi tagliola. Una norma nient'affatto amata dal governatore ma subìta per il pressing di 3-4 consiglieri regionali del Pd, ansiosi di non avere troppi competitors nelle liste e sui territori. Ma quelle sono ore concitate: il governatore preme per vedersi approvata la legge sul terzo mandato e acconsente alle richieste, suo malgrado. Legge che pure viene censurata dal Viminale che raccomandava di mettere il limite massimo di 30 giorni e nessun paletto per i piccoli comuni: rilievi che Santa Lucia aveva promesso di accettare. Ma niente e la norma ritorna in consiglio regionale a fine aprile in cui passa solo una blanda riduzione dei tempi: invece che 90 giorni, i sindaci che vogliono candidarsi devono rassegnare le dimissioni 60 giorni prima della scadenza naturale della legislatura regionale che è il 20 settembre prossimo. E calcolando i 20 giorni in cui diventano operative, i primi cittadini hanno tempo sino ad oggi per lasciare i Municipi. Regola che vale anche per chi guida Comuni con meno di 5mila abitanti. E ora dopo la censura del Viminale? C'è grande attesa per le decisioni della Consulta che deve esprimersi sulla legge regionale della Puglia (che pure limita la corsa dei sindaci) il prossimo 9 luglio. E, a cascata, potrebbe valere anche per la Campania.
IL TERZO MANDATO
Intanto ieri a Salerno il presidente della Corte costituzionale, Giovanni Amoroso, chiarisce il senso dello stop dopo due mandati a margine della cerimonia durante la quale gli viene conferita la cittadinanza onoraria a Mercato San Severino. «La decisione l'abbiamo già presa qualche tempo fa ed era nel senso della non compatibilità in ragione della norma di attuazione di una disposizione costituzionale che fu introdotta all'epoca della revisione del titolo V della seconda parte della Costituzione», spiega riferendosi allo stop a De Luca dopo l'impugnazione della norma da parte del governo. Quanto alla possibilità di andare verso una modifica che consentirebbe il terzo mandato dopo la pronuncia della Corte (come ha tentato di fare la Lega con un emendamento appena la scorsa settimana), Amoroso risponde come «cambiare non è facile: bisogna alzare il livello probabilmente perché è un principio fondamentale di attuazione di una norma costituzionale. Ma - conclude - le norme costituzionali non sono scritte nella roccia, possono anch'esse essere modificate. Ma con la normativa esistente, la decisione è quella che abbiamo preso recentemente».

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